Social vietati agli under 16. Alberto Pellai: “Salviamo i nostri figli dalla trappola dell’algoritmo”

Dal 9 dicembre in Australia i social sono vietati ai minori di 16 anni. Alberto Pellai spiega perché questa scelta è un modello da imitare: i rischi vanno dalla dipendenza alla bassa autostima; dall’isolamento alla “rage bait”. Regolamentare i social significa salvaguardare la salute pubblica e l’equilibrio dei più giovani

(Foto SIR/Midjourney)

Dipendenza, ansia, bassa autostima, isolamento e normalizzazione della rabbia. I social media costituiscono “un vero fattore di rischio per la salute dei minori, sono un problema di salute pubblica”, spiega al Sir il medico e psicoterapeuta dell’età evolutiva Alberto Pellai, che abbiamo raggiunto all’indomani dell’entrata in vigore della legge australiana che dal 9 dicembre ha vietato l’uso dei social ai minori di 16 anni. “Un modello coraggioso di tutela”, la definisce, sottolineando la necessità di “regolamentare i social e superare la logica algoritmica che manipola gli utenti, per restituire alle persone il controllo sulla propria vita digitale”.

Alberto Pellai – foto da FB

Dottor Pellai, perché considera la legge australiana un modello per la sanità pubblica?
I social media sono ormai riconosciuti come un fattore di rischio conclamato per la salute di bambini e adolescenti. Un minore non può acquistare tabacco o alcol, né può entrare in un locale dove si gioca d’azzardo. L’Australia, con la nuova legge, ha equiparato i social a tabacco, alcol e gioco d’azzardo: strumenti che, per i minori, generano più danni che benefici. Quando un rischio viene identificato dagli organi di sanità pubblica, è compito dei governi emanare leggi a protezione delle fasce più vulnerabili.

La decisione australiana è un esempio concreto e coraggioso di tutela dei minori.

L’addiction è uno dei principali rischi legati ad un accesso precoce ai social. Come si sviluppa?
L’addiction, ossia la dipendenza, è generata dal fatto che i social, basati sulla logica dell’algoritmo, sono progettati proprio per coinvolgere i funzionamenti dopaminergici del nostro cervello emotivo e stimolare il rilascio di dopamina, neurotrasmettitore alla base delle dipendenze comportamentali. In questo modo il loro uso genera gratificazione istantanea e un circolo vizioso di utilizzo compulsivo: praticamente non riesci a smettere. Una vera trappola da cui è molto difficile uscire.

Quali sono gli altri rischi? 
Ansia e bassa autostima. Soprattutto tra le ragazze è alta la probabilità di sviluppare  disturbi legati all’immagine corporea e al valore di sé.

I social diventano per i giovanissimi, in particolare per le preadolescenti, una sorta di “officina dell’inadeguatezza”.

Foto Università Cattolica/SIR

Il terzo grave rischio è legato alla deprivazione di sonno e all’isolamento: più tempo online significa meno ore di sonno e meno socializzazione reale, con conseguente disconnessione dal mondo reale. E poi la “normalizzazione” della rabbia. Non a caso l’Oxford English Dictionary ha identificato il sostantivo “rage bait” (esca della rabbia) come parola del 2025. Gli algoritmi favoriscono il cosiddetto “rage bait”, ossia un contenuto online creato appositamente per provocare rabbia e conflittualità nei più giovani attraverso elementi provocatori o offensivi, in genere pubblicato per aumentare il traffico o l’interazione su una particolare pagina web o piattaforma social.

Nel settembre 2024 lei e il pedagogista Daniele Novara avete lanciato una petizione pubblica che oggi ha raggiunto 105mila firme…   
Siamo convinti che non basti l’educazione familiare: serve anche un intervento legislativo.

I social vanno regolamentati perché manipolano il nostro bisogno di socializzazione a scopo di profitto.

Il vero problema è la logica algoritmica, che orienta i comportamenti degli utenti. Occorre smantellarla per restituire alle persone il controllo sulla propria vita digitale, in un modello rispettoso della persona.

Qual è allora l’età minima raccomandata per accedere ai social?
Le linee guida della Società italiana di pediatria sono molto chiare: lo smartphone non prima dei 13 anni, mentre per i social media si raccomanda di attendere addirittura la maggiore età, cioè i 18 anni. Una posizione in linea con la visione del legislatore australiano e che conferma la necessità di proteggere la salute dei minori.

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