Come vivono gli adolescenti nelle periferie delle città italiane? Che differenza c’è, in termini di opportunità sociali, economiche ed educative, tra crescere nel centro di una città o nella sua periferia? Il nuovo rapporto dell’Osservatorio #conibambini, nell’ambito della campagna “Non sono emergenza” promossa da Con i bambini, analizza città per città, quartiere per quartiere, lo stato del disagio socio-educativo nelle aree urbane italiane. Il report è stato presentato giovedì 11 dicembre alla Camera dei deputati a Roma.

(Foto Con i bambini)
Dopo la pandemia, diversi indicatori sono convergenti nel mostrare alcune criticità nelle città e nelle aree urbane densamente popolate. Bambini e ragazzi restano la fascia d’età più spesso in povertà assoluta (13,8% contro una media del 9,8%). In media, nel 2024, il 12,3% delle famiglie in cui vivono minori di 18 anni si è trovato in tale condizione; la quota sale al 16,1% dei nuclei con minori nei comuni centro dell’area metropolitana. Lo stesso vale per gli abbandoni scolastici precoci, pur in forte calo nel corso dell’ultimo decennio. Nonostante nel 2024 per la prima volta sia scesa sotto al 10% la quota di giovani che hanno lasciato la scuola prima del diploma o di una qualifica, la situazione resta più critica nelle città. Rispetto alla media nazionale del 9,8%, l’incidenza massima si raggiunge infatti nelle aree urbane densamente popolate dove si avvicina all’11%. Negli ultimi mesi si è ripresentata anche la questione dei comportamenti violenti tra adolescenti. La narrazione dei media su questo fenomeno è passata dall’identificare il caso delle violenze di gruppo a danni spesso di stessi coetanei con il fenomeno “baby gang” a quello impropriamente ormai noto come “maranza”. In questo fenomeno in realtà si celano i volti di ragazzi di seconde e terze generazioni nati in Italia, italiani, spesso in contrasto con la propria famiglia di origine, ma che faticano a trovare spazio nella realtà che vivono.
“L’Osservatorio promosso da Con i bambini insieme a Openpolis – ha spiegato Marco Rossi-Doria, presidente di Con i bambini – evidenzia come nelle periferie italiane i giovani continuino a scontare inaccettabili disparità nell’accesso a servizi educativi, culturali e sociali. Le ultime analisi mostrano concentrazioni più elevate di povertà educativa, una minore disponibilità di spazi aggregativi e un’offerta formativa e opportunità occupazionali minori e meno diversificate rispetto alle aree protette. Sono sempre più urgenti politiche pubbliche per creare sviluppo integrato di produzione di beni e servizi, comunità energetiche, esperienze di comunità e di coesione sociale insieme al sostegno alle comunità educanti che già uniscono scuole, Terzo settore, luoghi dello sport, parrocchie, municipalità, volontariato, famiglie. L’esperienza delle buone pratiche diffuse ci dice che le nuove politiche pubbliche devono unire investimenti dello Stato che devono crescere e risorse e azioni improntate alla sussidiarietà come da art. 118 della Costituzione.
Investire sulle periferie significa immettere nelle catene di sviluppo e valore parti cruciali della nazione guardando alle nuove generazioni e al loro successo formativo, che è alla base di ogni sviluppo”.
È utile comprendere i fattori sociali, educativi ed economici che spesso costituiscono il retroterra del disagio giovanile e che devono orientare la definizione delle politiche pubbliche. In questa prospettiva, risultano centrali le condizioni familiari, l’accesso all’istruzione, il ruolo della scuola e della comunità educante, insieme alla necessità di rafforzare presidi educativi, sociali e culturali nei territori più fragili, in particolare nelle periferie urbane.
“Le periferie non sono soltanto luoghi fisici, ma il punto in cui si concentrano fragilità sociali, carenze infrastrutturali e, allo stesso tempo, straordinari talenti e potenzialità spesso inespresse – hanno sottolineato Alessandro Battilocchio e Andrea De Maria, rispettivamente presidente e segretario di presidenza della Commissione parlamentare periferie -. Come Commissione parlamentare sulle periferie riteniamo fondamentale ascoltare chi ogni giorno opera sul territorio: scuole, associazioni, educatori, amministrazioni locali, realtà del Terzo settore. Il lavoro portato avanti da Con i bambini dimostra quanto sia possibile costruire percorsi educativi e comunitari capaci di cambiare il destino di tanti ragazzi. La Commissione conferma il proprio impegno a collaborare con le realtà attive sul territorio, valorizzando esperienze e progettualità che contribuiscono allo sviluppo delle comunità periferiche. In tutto il Paese le occasioni di coesione sociale, di associazionismo, di cittadinanza attiva sono momenti fondamentali di contrasto al degrado e alla criminalità e di riscatto delle periferie”.
In città come Catania, Napoli e Palermo circa il 6% delle famiglie si trova in potenziale disagio economico, vale a dire nuclei con figli la cui persona di riferimento ha fino a 64 anni e dove nessun componente è occupato o percettore di pensione da lavoro. Si tratta di valori anche 4-5 volte superiori rispetto a quelli rilevabili in città del centro-nord. Dentro una stessa città, i divari possono risultare ancora più ampi. A Catania ad esempio, a fronte di una media cittadina del 6,2%, si va dal 3,1% del terzo municipio al 9,3% del sesto. A Napoli, si va dal 3% di quartieri come Arenella e Vomero al 9,2% del quartiere di San Pietro a Patierno.
La condizione di partenza si riflette troppo spesso sugli esiti educativi. Gli abbandoni precoci della scuola colpiscono soprattutto il Mezzogiorno. Ha lasciato la scuola prima del diploma delle superiori o di una qualifica oltre il 25% dei giovani a Catania, il 19,8% a Palermo, il 17,6% a Napoli. Si tratta anche delle città in cui oltre uno studente su 5 arriva in terza media con competenze del tutto inadeguate in italiano. La dispersione implicita ed esplicita resta elevata soprattutto tra i ragazzi provenienti da famiglie svantaggiate. La quota di abbandoni precoci è infatti più elevata proprio tra i figli di chi non ha il diploma, con divari particolarmente ampi in città come Cagliari (16,3% le uscite precoci dal sistema di istruzione in media nel comune, quota che sale al 31,9% tra i figli dei non diplomati). Anche in questo caso pesano i divari interni alla stessa realtà cittadina: a fronte di una media del 16,3%, la quota supera il 25% in quartieri come San Michele, Marina, Cep; mentre in 6 quartieri è inferiore al 10%: Monte Mixi, Genneruxi, Monte Urpinu, Is Bingias – Terramaini, La Palma, Quartiere Europeo.
“Con il rapporto ‘Giovani e periferie’ confermiamo l’impegno dell’Osservatorio Povertà educativa nel fornire strumenti rigorosi per superare allarmismi e letture frammentarie del disagio giovanile – ha evidenziato Vincenzo Smaldore, direttore dello sviluppo istituzionale di Openpolis -. L’analisi sistematica, condotta quartiere per quartiere attraverso i dati disponibili pubblicamente, mette in luce con chiarezza alcune dinamiche del disagio socio-educativo e consente di individuare con precisione criticità e divari, a partire dal ruolo decisivo dei percorsi educativi e dalla necessità di contrastare abbandono scolastico e dispersione. Riteniamo che solo indicatori solidi e verificabili possano guidare scelte pubbliche realmente efficaci, come attraverso il lavoro della commissione dedicata al tema delle periferie. Una conoscenza approfondita di questi fenomeni è l’unico modo per orientare politiche basate sui dati, capaci di rispondere alle specifiche necessità di ogni territorio e di contribuire concretamente alla riduzione dei divari educativi”.
La quota di residenti tra 15 e 29 anni che non studiano e non lavorano è più alta nelle realtà dove la condizione sociale di partenza è più difficile e dove anche il percorso scolastico risulta più critico. I comuni capoluogo di città metropolitana con più giovani Neet sono infatti Catania (35,4%), Palermo (32,4%) e Napoli (29,7%). A quota 20% circa, tra le altre, le due città italiane più popolose, Roma e Milano. La quota scende al 17,3% a Bologna. Anche in questa città dove il fenomeno è meno diffuso, comunque, la quota risulta molto più elevata in aree come Ex Mercato Ortofrutticolo (47,2%), Caab (39,8%) e Pilastro (29,6%), mentre i livelli più bassi si registrano nelle aree di Siepelunga (11,3%), La Dozza (10,9%), Scandellara (5,6%).
Servizi e scuole aperte al territorio: le città (e le zone subcomunali) con la condizione di partenza più difficile sono spesso anche quelle con gli esiti socio-educativi peggiori. Un percorso che collega la condizione di partenza familiare, l’accesso all’istruzione, gli esiti nella vita adulta. Offrire servizi e opportunità che rompano questo circolo vizioso è la principale sfida per le politiche pubbliche nel contrasto della povertà educativa. In questo quadro
l’apertura pomeridiana delle scuole assume una valenza su tanti livelli diversi: presidio sul territorio, luogo sicuro per i giovani – specialmente nei quartieri più difficili -, contrasto alla dispersione.
Tra le città si registrano forti divari: oltre l’85% degli alunni delle primarie statali frequenta scuole con il tempo pieno in città come Milano, Firenze, Torino e Roma, mentre sono meno del meno del 10% a Reggio Calabria e Palermo. Anche in questo caso, con differenze interne nelle città. A Palermo, a fronte di una media cittadina pari a circa il 5%, la quota supera il 30% nei quartieri Tribunali-Castellammare (47,4%) e Palazzo Reale-Monte Di Pietà (34%), mentre non raggiunge il 3% in 17 quartieri su 25.
Il quadro evidenzia una “trappola della povertà educativa”, dove condizioni familiari, accesso all’istruzione, rischi di abbandono e difficoltà nell’ingresso nel mondo del lavoro si alimentano a vicenda. Il rapporto invita quindi a superare letture generiche e stigmatizzanti del disagio giovanile, proponendo politiche pubbliche basate sui dati, integrate e capaci di agire sulle specifiche necessità di ogni territorio. Solo conoscendo a fondo le periferie sarà possibile ridurre i divari educativi e sociali che segnano la crescita degli adolescenti nelle città italiane.

