Corridoi umanitari: arrivati in Italia 122 rifugiati dalla Libia, la metà sono bambini. Fuggono dalle guerre in Sudan, Sud Sudan ed Eritrea

Sono arrivati oggi all'aeroporto di Roma Fiumicino dalla Libia 122 rifugiati provenienti da Sudan, Sud Sudan ed Eritrea, grazie al protocollo del dicembre 2023 tra Ministero dell’Interno, Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, Unhcr, Arci e Comunità di Sant’Egidio. Tra loro Mohamed con la moglie e la piccola Salma, in fuga da una vita intera nei campi profughi. Accanto alla sua storia quella di Sawer, 23 anni, ferito e torturato nelle carceri libiche, e di Sabri, che ha perso una gamba durante una traversata in mare. Le famiglie saranno accolte in dieci regioni italiane da parrocchie, comunità e centri di accoglienza. Le associazioni e le istituzioni presenti hanno ribadito l’importanza delle vie sicure e la speranza di un nuovo inizio per tutti.

(foto: SIR)

“Abbiamo visto la guerra in Sudan, esplosioni continue, conflitti, nessuna sicurezza, non c’è cibo, non c’è da bere”. La storia sembra sempre la stessa ma cambia se la ascolti guardando negli occhi chi te la racconta. Mohamed è un giovane padre, al suo fianco Roua, in braccio la piccola Salma (nomi di fantasia), appena atterrati a Roma da Tripoli, in Libia, grazie ad un corridoio umanitario reso possibile dal protocollo tra Ministero dell’Interno, Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, Unhcr, Arci e Comunità di Sant’Egidio, che ha permesso oggi a 122 rifugiati da Sudan, Sud Sudan ed Eritrea, di cui la metà bambini, di fuggire in sicurezza da una vita quotidiana di violenza. Saranno accolti in dieci regioni italiane presso parrocchie, famiglie, comunità, centri di accoglienza governativi. Questo protocollo, firmato nel 2023, ha consentito finora l’arrivo in sicurezza di 659 persone. Secondo i dati della Comunità di Sant’Egidio dal febbraio 2016 ad oggi sono arrivati in Italia tramite i corridoi umanitari 7.269 rifugiati.

(foto: SIR)

Una intera vita nei campi profughi. “Siamo vittime della guerra del Darfur nel 2003 – esordisce Mohamed mentre cerca di mostrare il volto della piccola Salma, nata in luglio in Libia, che dorme sulle spalle del padre -. Siamo stati bombardati in piena notte, i nostri villaggi sono andati distrutti, abbiamo perso tante persone della famiglia, i fratelli. Io vivo nei campi profughi dal 2003. Non ho mai conosciuto una esistenza normale”.  Ha conosciuto la moglie nel 2014. “Poi ci siamo ritrovati nel 2019 perché ero in Libia”, racconta riferendosi alla donna accanto a lui, elegante, vestita in rosa, colore in contrasto con il volto serio capace di aprirsi a un solo debole sorriso in tutta la conversazione.  “Io stavo in Libia – dice Mohamed -. Non sapevo se ne sarei uscito vivo o no. Sono molto felice e orgoglioso di essere arrivato in Italia, un Paese sicuro. A Tripoli viviamo sempre nella paura e nella sofferenza, viviamo sempre nella paura che ci possano portare in carcere, torturare, ammazzare. Ringraziamo chi ci ha dato una speranza di una bella vita e di un futuro. Abbiamo fatto uscire nostra figlia in sicurezza, potrà studiare, vivere in pace. Grazie”.

(foto: SIR)

Torture, malattie e abusi nelle carceri libiche. All’aeroporto di Fiumicino Sawer, 23 anni attira subito l’attenzione dei cronisti perché è in sedia a ruote a causa dei maltrattamenti nelle carceri libiche. Il volto serio che ogni tanto si apre in un sorriso quando incontra un volontario. Stringe tra le mani un mazzolino di rose gialle e i documenti. E’ fuggito da solo dal conflitto in corso in Sudan. “Nel mio paese c’è tantissima guerra e violenza: ho visto persone morire davanti ai miei occhi, abbiamo camminato in mezzo al sangue”, racconta. È arrivato in Libia e ha trovato anche lì violenze, ma anche abusi e torture in prigione. “In carcere ho contratto una tubercolosi della colonna vertebrale, sono rimasto un mese rinchiuso. In Libia, senza documenti, ti arrestano e ti torturano chiedendo soldi”. Nella disgrazia ha avuto la fortuna di incontrare l’Unhcr che lo ha aiutato a fare un primo intervento chirurgico, poi Sant’Egidio che lo ha inserito nella lista dei corridoi umanitari. “Ringrazio l’Italia per l’accoglienza. Ora devo anch’io restituire qualcosa, integrandomi bene nel Paese”. Prima le cure, poi vorrebbe continuare a studiare. “Ho frequentato la scuola e ho una grande passione per l’industria, per le auto: mi piace molto la meccanica e il disegno. Spero di riuscire a costruire una buona vita qui in Italia”.

(foto: SIR)

Un incidente durante la traversata in mare. Anche Sabri, sudanese, altissimo, è senza una gamba e cammina sulle stampelle. Caffetano bianco lungo con sopra un giacchetto e berretto per il freddo in tinta, è felice di essere qui. Ha tentato di attraversare il Mediterraneo con un barcone in partenza dalla Libia. “Mentre eravamo in mare la mia gamba si è incastrata nel motore. Ho subito un’amputazione. Ma ora sono felice perché posso ricominciare una vita in Italia”.

(foto: SIR)

L’accoglienza in una parrocchia di Caserta. Tra chi è venuto in aeroporto a prendere i rifugiati per iniziare il percorso di integrazione in Italia c’è padre Mario Vecchiato, sacramentino trevigiano alla guida della parrocchia di Sant’Augusto a Caserta. Ha appena conosciuto la famiglia sudanese che ospiterà: papà, mamma e due bambini di 2 e 3 anni. Stanno allegramente mangiando una lasagna offerta nella hall del Terminal 5 dell’aeroporto. “È la quarta famiglia che ospitiamo in parrocchia – spiega padre Vecchiato -. Abbiamo iniziato questi percorsi cinque o sei anni fa: abbiamo accolto una famiglia irachena, poi due famiglie siriane e ora i sudanesi. L’integrazione, finora, è sempre andata molto bene: tutti lavorano, pagano l’affitto delle proprie case e i bambini vanno a scuola”. Tutta la comunità parrocchiale si è attivata con generosità, disponibilità al volontariato e aiuti concreti. La famiglia sudanese sarà alloggiata nella casa preparata per loro, nello stesso edificio dove abita padre Mario.  “È davvero una bella esperienza di fraternità – conclude -. Noi facciamo un grande dono, ma anche loro fanno un grande dono a noi: ci aiutano a diventare comunità”.

(foto: SIR)

I saluti istituzionali. Ad accogliere l’intero gruppo allietato da giochi e balli dei volontari e gridolini dei bambini c’è Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio: “Oggi l’Italia diventa casa vostra, una casa di pace dove si mangia bene, ci sono medici bravissimi per chi ha bisogno di cure e scuole per i bambini. Vi chiedo di imparare subito l’italiano e di vivere nel rispetto dei cittadini italiani e delle leggi del Paese. L’Italia è un Paese accogliente, vi troverete bene”. Valentina Itri, coordinatrice dell’Ufficio immigrazione di Arci nazionale, ha ribadito che “raggiungere l’Italia e l’Europa in modo sicuro è un diritto. Ora per voi è tempo di riposo, cura e di nuovo inizio”. Filippo Ungaro, portavoce dell’Unhcr (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati”, ha ricordato che “su 2 milioni e 800 mila rifugiati che aspettano il reinsediamento, solo l’8% è stato reinsediato. Di vie sicure e legali c’è bisogno ovunque nel mondo”.  Presente anche il rappresentante del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale.

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