Il 29 ottobre, alla presenza del ministro della Salute Orazio Schillaci e del viceministro degli Esteri, Edmondo Cirielli, si è tenuto a Caivano un incontro presso l’ambulatorio sociosanitario attivato nel Centro sportivo Pino Daniele da Sport&Salute e Inmp (Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della povertà).

Foto Inpm/SIR
L’ambulatorio offre servizi ginecologici, nutrizionali, psicologici e di medicina dello sport e prevede interventi dedicati agli adolescenti, in particolare a chi affronta difficoltà legate a crescita, relazioni sociali, bullismo, disturbi dell’alimentazione. All’interno del progetto “Alzati 2” sono coinvolti anche minori con disabilità cognitive. Con Cristiano Camponi, direttore generale dell’Istituto – il cui Consiglio di indirizzo è presieduto dallo psichiatra Tonino Cantelmi – abbiamo parlato della mission dell’Inpm di promozione dell’equità sanitaria e tutela delle popolazioni vulnerabili.
Dottor Camponi, che cosa rende questo Istituto un unicum nel panorama del Ssn?
L’Inmp è un ente pubblico del Ssn, un attore strategico e unico per la sua caratteristica distintiva: risponde direttamente al ministero della Salute, non alle Regioni. Questo ci consente di operare con una visione nazionale e strategica, focalizzata sulla promozione dell’equità sanitaria tentando di abbattere le barriere che impediscono l’accesso alle cure, soprattutto per le fasce più fragili della popolazione.
Un diritto sancito dalla Costituzione, ma spesso disatteso nella pratica.
Foto Cristiano Camponi/SIR
A Roma avete uno storico poliambulatorio a Trastevere..
Sì, con accesso diretto e gratuito, pensato per italiani e migranti, anche irregolari – non c’è obbligo di segnalazione e questo crea un ambiente di fiducia – persone senza fissa dimora, persone vulnerabili. Da questa esperienza concreta costruiamo modelli di sistemi di presa in carico replicabili anche in altre realtà italiane.
Qual è il raggio d’azione dell’Istituto, sia in Italia sia all’estero?
L’Inmp ha una vocazione internazionale. Collaboriamo con l’Organizzazione mondiale della sanità, il ministero deglI Esteri e Ong come Sant’Egidio per formare il personale sanitario locale nella gestione dei migranti e delle popolazioni vulnerabili. Siamo attivi in Egitto, dove affrontiamo il tema dei migranti climatici, in Ucraina con interventi su bambini, malati cronici, donne vittime di violenza e reduci di guerra, e in paesi come Iraq, Congo, Kenya e Albania, dove realizziamo screening sanitari.

Foto Inpm/SIR
E in Italia?
Siamo presenti a Lampedusa dove abbiamo contribuito a creare una postazione 118 medicalizzata. Collaboriamo con le regioni del Mezzogiorno in un progetto Ue che ha l’obiettivo di intercettare e mappare aree e soggetti vulnerabili. Un’iniziativa innovativa è in corso nel biellese, in Piemonte, per assistere le popolazioni anziane nelle aree montane dove applichiamo il paradigma della “medicina d’iniziativa”:
è il servizio sanitario ad andare dal paziente, non il contrario.
Parlando di povertà sanitaria, quali sono le dimensioni del fenomeno e come si può affrontarlo?
Secondo i dati Istat, circa il 10% della popolazione residente vive in povertà assoluta: parliamo di 5,8 milioni di persone. Questa condizione limita fortemente l’accesso alle cure, soprattutto alla prevenzione. Molti si rivolgono al pronto soccorso solo in fase acuta, quando la situazione è già compromessa, provocando sovraffollamento e costi elevati per il Ssn, perché l’ospedalizzazione è la forma di assistenza più costosa.

Foto Inpm/SIR
Serve un approccio diverso?
Serve un cambio di paradigma.
Il servizio sanitario deve essere proattivo, deve muoversi “boots on the ground” (scarponi sul terreno) e andare verso le persone.
Solo così possiamo intercettare i vulnerabili, reintegrarli nel sistema e creare un nuovo “pactum fiduciae” tra cittadini e istituzioni. È una questione di sostenibilità, ma anche di giustizia sociale.
Quali sono i pilastri strategici su cui si fonda l’azione dell’Inpm?
Abbiamo quattro pilastri: oltre all’assistenza, la ricerca, la formazione e la mediazione culturale.
Sul fronte della ricerca scientifica, da un anno e mezzo siamo diventati istituto nazionale e stiamo sviluppando progetti in partnership con Angelini Farmaceutica. Ci occupiamo di epidemiologia e di patologie neglette, ossia quelle che colpiscono le popolazioni povere e migranti e spesso non ricevono attenzione dalla ricerca tradizionale. Il nostro approccio è “data-driven”: analizziamo i dati per modellizzare interventi efficaci. La formazione è un altro pilastro fondamentale. Siamo centro di riferimento per la formazione dei mediatori culturali in ambito sanitario, figure strategiche per superare barriere linguistiche e culturali, costruire fiducia e facilitare così l’accesso alle cure. Il mediatore culturale non è solo un traduttore, ma un ponte tra mondi diversi.

Foto Inpm/SIR
Guardando al futuro, quale ruolo immagina per l’Istituto?
Vogliamo consolidarci come “mediatore istituzionale”, ponte che collega Ministeri, Regioni, Asl, Terzo settore e cooperazione internazionale.
Il nostro obiettivo è “allacciare i nodi di una rete” che già esiste, ma è frammentata.
Lavoriamo per creare sinergie, evitare duplicazioni e ottimizzare le risorse esistenti. Ma puntiamo anche a sviluppare competenze nel fundraising per intercettare fondi da progetti internazionali. Questo ci consentirà di mantenere alti standard e garantire la sostenibilità del sistema sanitario universalistico italiano, un patrimonio preziosissimo.


