“Liberi di scegliere”: quando il teatro diventa l’inizio di una nuova vita

Il percorso di teatro sociale portato avanti da Angelo Campolo con la compagnia DAF Project, ispirato al protocollo “Liberi di scegliere”, offre a giovani in messa alla prova giudiziaria una via di rinascita attraverso l’arte. Dal laboratorio con un ragazzo di Messina nasce "Antonino", un cortometraggio che racconta la forza della rieducazione e della fiducia.

C’è un ragazzo che non vuole parlare. Ha gli occhi bassi, le braccia conserte e un mondo intero chiuso dietro al silenzio. Si chiama Antonino, e la sua storia comincia dentro un laboratorio teatrale per adolescenti in messa alla prova giudiziaria. Dall’altra parte della stanza c’è un attore, Angelo Campolo, chiamato a guidare quel gruppo di ragazzi “difficili”. Tra i due nasce uno scontro. Poi, lentamente, quel muro si incrina. “Dietro la rabbia di quel ragazzo c’era solo paura – racconta Campolo –. E restare, anche quando tutto sembra perduto, è la forma più vera di fiducia”.
Da quell’incontro è nato “Antonino”, un cortometraggio che sarà presentato in anteprima il 24 ottobre alla Casa del Cinema di Roma, nella vetrina “Nuovo Imaie” delle Giornate della Festa del Cinema. Ma prima ancora di essere un film, Antonino è un progetto educativo e teatrale che affonda le radici nel modello di giustizia minorile promosso dal protocollo “Liberi di scegliere”, ideato dal magistrato Roberto Di Bella, oggi presidente del Tribunale per i Minorenni di Catania.

Angelo Campolo

“Liberi di scegliere” è un programma che ha aperto in Italia una via nuova: quella di una giustizia che non si limita a punire, ma rieduca, accompagna, offre alternative concrete ai percorsi di devianza. “Il nesso tra il teatro e questo modello – spiega Campolo – sta nella possibilità di offrire ai ragazzi che vivono in contesti di povertà educativa uno spazio in cui sperimentare scenari di vita diversi, un linguaggio nuovo, collettivo, dove la collaborazione è necessaria per costruire qualcosa insieme. È l’esatto opposto dell’individualismo tragico che spesso li circonda”.

Nel lavoro con la compagnia DAF Project, tra Catania e Milano, Campolo ha fatto del teatro uno strumento di reinserimento e di crescita. “Ricordo un ragazzo di Catania – racconta – che era scappato dalla comunità, ma quel giorno non ha voluto rinunciare all’appuntamento teatrale. Si è presentato comunque in sala prove. Era un gesto piccolo, ma diceva tutto: in quella esperienza si sentiva accolto”.

Il teatro, in questi percorsi, è un nuovo linguaggio. Perché funzioni, però, serve una rete. “Cerco sempre alleanze istituzionali con i teatri pubblici, gli stabili. È accaduto con il Teatro Stabile di Catania e con il Biondo di Palermo – racconta Campolo – dove abbiamo realizzato 96 ore con ragazzi in messa alla prova”.

“Alcuni di loro sono stati assunti dal teatro come lavoratori dello spettacolo. Un ragazzo si è presentato con il vestito della prima comunione per firmare il contratto: per lui era un nuovo inizio, un segno di fiducia che cambia la vita”.

Il successo del progetto, però, non cancella le difficoltà. “Le sconfitte ci sono – ammette Campolo – e servono a capire quanto sia importante fare gioco di squadra. Quando le istituzioni non comunicano tra loro, gli operatori restano soli e il rischio è che il teatro venga visto come un hobby. Ma se crediamo nella cultura, i ragazzi lo sentono: dal nostro investimento nasce anche il loro cambiamento”.

Il protocollo “Liberi di scegliere”

Nato nel 2012 da un’idea del magistrato Roberto Di Bella, oggi presidente del Tribunale per i Minorenni di Catania, il protocollo “Liberi di scegliere” rappresenta un modello innovativo di giustizia minorile. L’obiettivo è offrire ai figli di famiglie legate alla criminalità organizzata e ai minori in conflitto con la legge la possibilità concreta di un percorso di libertà e di riscatto, lontano dai contesti di provenienza. Il progetto si fonda sulla collaborazione tra tribunali per i minorenni, servizi sociali, comunità educative, diocesi, associazioni e istituzioni territoriali. Invece della detenzione, vengono proposti percorsi alternativi: l’inserimento in comunità, la formazione scolastica e professionale, e l’accompagnamento psicologico ed educativo. Negli anni, il protocollo ha ispirato iniziative culturali e sociali in tutta Italia, promuovendo una visione della giustizia che educa e restituisce fiducia, aprendo ai giovani la strada per essere davvero “liberi di scegliere”.

La storia di Antonino è diventata oggi un film, ma resta prima di tutto una testimonianza. “Quel laboratorio a Messina è stato per me un errore educativo e insieme un punto di svolta – confida Campolo –. Ho capito che dietro ogni atteggiamento c’è una storia familiare, un contesto che va ascoltato”.

“Quel ragazzo mi ha insegnato che la fiducia può nascere anche dallo scontro”.

Dopo l’anteprima romana, il film intraprenderà un tour indipendente tra scuole, comunità e festival, per riaccendere il dibattito sul valore della rieducazione. Ma, per chi l’ha vissuto, Antonino è il simbolo di una giustizia che sceglie la via dell’arte per restituire ai giovani la possibilità più grande di tutte: quella di essere davvero liberi di scegliere.

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