Decarbonizzazione ex Ilva. Don Panico: “Accordo vago. Garantire salute e lavoro”

Don Antonio Panico, vicario episcopale di Taranto, commenta l’intesa firmata al Mimit per la decarbonizzazione dell’ex Ilva: “Troppa indeterminatezza, nessun vincolo temporale, salute e occupazione ancora in bilico”. Preoccupano le tempistiche, l’assenza di investitori certi e l’impatto sulla città e sull’ambiente.

Foto Calvarese/SIR

Ieri al Ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mimit) è stata sottoscritta un’intesa per avviare la decarbonizzazione degli impianti dell’ex Ilva di Taranto. Il documento, definito “storico” dal ministro Adolfo Urso, prevede il graduale superamento dell’area a caldo alimentata a carbone e la realizzazione di forni elettrici a minore impatto ambientale. L’obiettivo dichiarato è coniugare transizione ecologica, tutela della salute pubblica e salvaguardia occupazionale. Restano però aperte questioni cruciali: tempi di attuazione non definiti, incertezza sulla localizzazione degli impianti per la produzione del preridotto (Dri), e assenza di impegni vincolanti in termini cronologici. Il tavolo tecnico tornerà a riunirsi dopo il 15 settembre, alla scadenza per le offerte vincolanti della nuova gara di acquisizione. Per fare un punto sulla situazione il Sir ha intervistato don Antonio Panico, professore, vicario episcopale della diocesi di Taranto per la Pastorale sociale, il lavoro, la giustizia e la custodia del creato e profondo conoscitore della vicenda dell’ex Ilva,

Come valuta l’intesa per la decarbonizzazione dell’ex Ilva sottoscritta ieri?
Questo accordo, che viene presentato come un accordo di programma, in realtà è solo un accordo interistituzionale, ben diverso e molto meno vincolante. È troppo vago, senza impegni cronologici precisi. L’indeterminatezza non lascia sereni e non fa il bene della città.

Quali aspetti positivi individua nel testo dell’intesa?
Sembra acquisito che non ci sarà una nave rigassificatrice davanti alla città, e questo sarebbe importante. Abbiamo già una raffineria di enormi proporzioni, l’Ilva e una base navale strategica per il Mediterraneo. Una nave rigassificatrice scoraggerebbe lo sviluppo commerciale del porto, anche per il traffico crocieristico, e renderebbe il territorio ancora più dipendente dalla sola produzione di acciaio.

Perché ritiene problematici i tempi previsti per il processo di decarbonizzazione?
Si parla di dodici anni di produzione a ciclo integrale: sono insostenibili. Oltre quattro milioni di tonnellate l’anno, i dati ci dicono che la gente comincia ad ammalarsi; a sei milioni non è per nulla sostenibile per la salute. È chiaro che bisogna potenziare la rete sanitaria e fare prevenzione, ma se si continua a produrre così, non basta.

Quali sono, a suo avviso, le principali criticità sotto il profilo ambientale e occupazionale?
C’è un’intesa di principio, ma resta troppo indeterminata. I sindacati lamentano la stessa vaghezza, sia per l’occupazione sia per l’ambiente. Ho la sensazione che si voglia prendere tempo, anche per motivi politici legati alle elezioni in Puglia a novembre. Sono tredici anni che andiamo avanti con la speranza, ma senza cambiamenti strutturali.

Il ministro ha definito questa intesa una possibile svolta per attrarre investitori. Condivide questa lettura?
Personalmente no. Decarbonizzare costa molto, e garantire l’occupazione in un contesto del genere è oneroso. Non mi risulta che oggi ci siano investitori realmente interessati; molti sono in attesa di capire. Certo, il fatto che non ci siano enti locali contrari può essere un segnale di speranza, ma non so quanto basti.

Nel testo si richiama la tutela della salute e il potenziamento del monitoraggio ambientale. Lo ritiene sufficiente?
Ben venga il potenziamento della rete sanitaria e strumenti di prevenzione, ma se le emissioni aumentano, i malati aumenteranno. Il gas è meglio del carbone, ma resta un combustibile fossile. Migliorare sì, ma bisogna eliminare totalmente ciò che ha danneggiato la città. Non possiamo continuare così.

Come sacerdote e vicario episcopale, quale auspicio desidera esprimere per il futuro di Taranto?
Che ci sia unità di intenti e una reale volontà di cambiare. Come cristiani cerchiamo di dare fiducia e speranza, ma il tempo è scaduto: occorre agire ora, con criteri nuovi e soluzioni radicali, per salvaguardare la vita e il futuro di Taranto.

Il contesto
L’ex Ilva, inaugurata negli anni ’60 come simbolo del boom industriale italiano, è diventata negli anni sinonimo di un drammatico conflitto tra diritto al lavoro e diritto alla salute. Le emissioni nocive, la contaminazione di aria e suolo e i dati epidemiologici preoccupanti hanno segnato profondamente la vita della città. Nel 2012, parte degli impianti venne sequestrata nell’ambito di un’inchiesta per disastro ambientale, aprendo una stagione di commissariamenti, tentativi di rilancio e promesse di riconversione ambientale, mai pienamente realizzate. Le comunità locali, insieme a Chiesa, associazioni e sindacati, chiedono da anni una transizione produttiva che salvaguardi salute e occupazione, riducendo drasticamente l’impatto ambientale dell’acciaieria.

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