Piano carceri. Squillaci: “Le comunità non sono luoghi alternativi alla detenzione e basta, mantengono la dimensione di cura”

Il presidente della Fict spiega al Sir cosa cambierebbe per i detenuti con tossicodipendenza nel sistema attuale se diventasse legge il ddl approvato in Cdm. Il 30 luglio il Dipartimento per le politiche antidroga ha convocato le 5 reti delle comunità terapeutiche per illustrare nel dettaglio la parte del Piano che le riguarda

(Foto ANSA/SIR)

Una detenzione differenziata per i tossicodipendenti e alcoldipendenti: è al centro del disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri il 22 luglio, tra le misure del “Piano carceri”. Degli oltre 62mila detenuti presenti nelle carceri italiane “il 31,93% ha una dipendenza da sostanze stupefacenti o alcoliche”, ha sottolineato il ministro della Giustizia Carlo Nordio nel corso della conferenza stampa a Palazzo Chigi dopo il Cdm. Per il Guardasigilli, nel caso della detenzione differenziata per i tossicodipendenti, “la parola chiave è recupero. Parliamo di detenzione in strutture certificate e credibili, sostanzialmente in comunità, e di detenuti che non hanno commesso reati gravi, ma reati cosiddetti ‘minori’ e che comunque hanno una relazione con la condizione di tossicodipendenza o alcoldipendenza: scippi, furti, piccole rapine, violazioni di domicilio”. In una stima “a spanne” Nordio ha parlato di potenziali 10mila detenuti che potrebbero usufruire di queste misure, ma che la spesa attualmente sarebbe coperta per mille. Di queste disposizioni, che comunque dovranno passare al vaglio del Parlamento, parliamo con Luciano Squillaci, presidente della Federazione italiana comunità terapeutiche (Fict).

(Foto: Fict)

Cosa ne pensa di questo disegno di legge?

Lo leggiamo come un provvedimento positivo perché c’è un’attenzione per questa fascia di detenuti.

Per noi ogni giorno in più di carcere per una persona tossicodipendente è un giorno di troppo, è un giorno perduto.

Il Dipartimento per le politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri in collaborazione con il Ministero di Giustizia ha convocato per il prossimo 30 luglio le 5 reti delle comunità terapeutiche per illustrarci nel dettaglio la parte che riguarda i detenuti con dipendenze del Piano carcere. Una nota negativa è che sia un disegno di legge: significa che i detenuti con tossicodipendenza continueranno a passare in carcere l’estate con tutto quello che ne consegue.

Cosa comporterà per le comunità terapeutiche se il ddl diventasse legge?

In primo luogo, le comunità terapeutiche già dal 1990 – cioè da quando è stato approvato il decreto legislativo 309/90 che è l’attuale legge che porta avanti il sistema dei servizi privato accreditato – accolgono persone agli arresti o in detenzione domiciliare, quindi non è una novità per noi lavorare con persone che hanno provvedimenti giudiziari. Questo disegno di legge aumenta la platea degli aventi diritto perché alza ad 8 anni di pena detentiva da scontare quello che oggi è previsto a 6 anni per quanto riguarda le persone che hanno commesso reati strettamente correlati alle dipendenze. Sono esclusi tutti quei reati per così dire aggravati, cioè quelli all’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, che restano nei limiti dei 4 anni di pena massima o residua da scontare. In parole povere, sostanzialmente il decreto legislativo del 1990 prevede la possibilità di andare in comunità per le persone che abbiano una pena massima di 6 anni o comunque un residuo di 6 anni da scontare. Se questo disegno di legge presentato nel Piano carceri diventerà legge, sarà aumentato a 8 anni invece di 6, quindi sicuramente c’è una buona risposta per una certa platea di persone, ma non per tutte: avrei preferito che fosse allargato anche alle persone che in qualche modo hanno commesso dei reati relativamente più importanti, ma che hanno comunque commesso questi reati perché necessitavano di soldi o perché erano all’interno di una rete di spaccio. Intanto prendiamo l’aspetto positivo di quest’ulteriore possibilità che secondo le stime aumenterebbe di circa mille persone i detenuti all’interno delle comunità.

Ci sono questi posti attualmente a disposizione?

Le comunità terapeutiche in questo momento per la gran parte sono già piene, nel senso che già all’interno delle comunità terapeutiche, tra persone con provvedimenti giudiziari, che ripeto accogliamo già da 35 anni, e persone libere, i posti letto accreditati sono già quasi totalmente pieni. Per cui questi ulteriori mille posti necessitano senza dubbio di nuovi investimenti anche in termini di risorse e su questo speriamo di avere qualche delucidazione il 30 luglio, quando saremo a Palazzo Chigi.

Per il resto è condivisibile il ddl?

Un elemento che va chiarito è che

le comunità terapeutiche non sono, non possono e non debbono diventare una mera alternativa al carcere,

cioè non possono essere semplicemente un posto dove sostare in attesa di scontare la pena. Le comunità terapeutiche sono servizi sanitari accreditati all’interno dei quali si svolgono percorsi terapeutici individualizzati, che ovviamente necessitano di una adesione da parte della persona, la cosiddetta “compliance”, cioè un’adesione da parte della persona al programma terapeutico. Significa che noi siamo ben lieti di accogliere persone che vengono dal carcere purché abbiano intenzione di curarsi e che non siano persone che vengono solo per non stare in carcere, che già è una motivazione, ma che ci sia perlomeno un orientamento da parte della persona di sottoporsi a un programma terapeutico. Questi elementi per noi sono basilari, non possiamo pensare alle comunità terapeutiche semplicemente come luoghi svuota carcere.

Ci sono altri aspetti del ddl interessanti?

Un altro fatto positivo di questo disegno di legge senza dubbio è il fatto che dovrebbero accelerarsi i tempi per la scelta della comunità ed è previsto anche per chi è sottoposto agli arresti, cioè per chi è ancora in fase cautelare. Questo crediamo che sia un aspetto importante perché

le carceri in questo momento sono tutto meno che un luogo dove poter fare rieducazione,

ce lo dobbiamo dire in maniera molto chiara: una persona con problemi di dipendenza che va in carcere non può che peggiorare la sua situazione e lo dimostrano i suicidi dell’ultimo anno in carcere. Pertanto, noi diamo una lettura sicuramente positiva del ddl e siamo pronti a fare la nostra parte, purché sia chiaro, lo ribadisco, che le comunità non sono luoghi alternativi alla detenzione e basta, ma mantengono quella dimensione di cura, di riabilitazione educativa che è la parte centrale del percorso di comunità e poi che ci siano le risorse per poter accogliere, perché in questo momento i posti letto e i budget che vengono utilizzati per coprire i posti letto in tutte le regioni sono deficitari.

L’accompagnamento che offrite ai detenuti con tossicodipendenza è diverso da quello per gli altri che liberamente sono entrati in comunità?

No, da diversi anni attiviamo i percorsi individualizzati, per cui per ogni persona il percorso è diverso, però tutta la parte degli interventi di gruppo e delle attività non ha nulla di diverso. Certo, molto spesso ci scontriamo con la miopia di alcuni tribunali, non tanto quelli di sorveglianza, che si occupano dei detenuti con provvedimento definitivo, quanto i tribunali ordinari o le corti d’appello, che si occupano di coloro i quali sono all’interno delle comunità in attesa di giudizio, in fase cautelare, agli arresti domiciliari e non in detenzione domiciliare. Per queste persone molto spesso abbiamo difficoltà a ottenere per esempio i permessi per le uscite, che per noi sono basilari perché fanno parte del percorso, le attività sportive, ludico-ricreative, le giornate a mare. Infatti,

il percorso terapeutico educa al lavoro, al rispetto delle regole, ma anche al corretto utilizzo del tempo libero.

Quindi spesso ci scontriamo con delle rigidità che sono legate a esigenze cautelari che francamente noi non vediamo per le persone che sono in comunità, sarebbe utile e importante che ci sia anche un intervento autorevole da parte del Ministero, ferma restando l’assoluta indipendenza dei giudici.

Concluso il periodo in comunità per i detenuti, proseguite un accompagnamento?

Accompagniamo queste persone nella fase del reinserimento sociale e lavorativo, abbiamo una serie di contatti, di collegamenti con imprese e società e ci muoviamo di conseguenza. Ma questo vale anche per le persone libere. Secondo noi ci dovrebbe essere una ben maggiore attenzione da parte del decisore politico proprio nella fase del reinserimento, invece non ci sono di fatto risorse, come se la parte del reinserimento sociale e lavorativo esulasse dal percorso terapeutico; al contrario è una parte fondamentale e per questo lo facciamo lo stesso.

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