
Quando se ne va uno come Brian Wilson, leader dei Beach Boys, i cantori di una generazione, anzi, più di una, non fatta solo di spiagge e gelati, ma anche di nuove, buone vibrazioni, viene da pensare che davvero non erano e non sono solo canzonette.
I 40 anni di “La vita è adesso” di Claudio Baglioni, ad esempio, non sono solo un ricordo del dopo terrorismo, ma anche di un ripiegamento su se stessi che ha contribuito a fare la prima parte degli Ottanta. Baglioni, che da Lampedusa, a settembre, inizierà un tour che lo porterà in tutte le nostre regioni, in questa canzone invitava, dopo una lunga pausa, anche a sfuggire dalla solitudine e dal ripiegamento su se stessi. Perché camminare in quelle nuove strade, anche per il cantautore romano, significava camminare insieme all’altro, “con l’ansia di cercare insieme un bene più profondo”.

(Foto Siciliani – Gennari/SIR)
Il cammino di Brian Wilson, scomparso ieri all’età di 82 anni, la vera mente di un gruppo formato assieme ai due fratelli Carl e Dennis, Al Jardine e Mike Love, ha avuto a che fare con differenti -in apparenza- scogli, come quello della dipendenza da Lsd, della malattia degenerativa, della depressione. Ma gli elementi che fanno il privato si trasformano alchemicamente, quando si è artisti veri, in altro: in nuove e buone vibrazioni, come ha genialmente suggerito Brian in una canzone, che ha spopolato gli anni Sessanta a partire dal 1966, dal titolo appunto di “Good vibrations”. L’elettronica si univa genialmente alle voci da ragazzini dei Beach Boys, che però si impastavano, grazie a geniali sovrapposizioni e registrazioni a catena, in sonorità quasi barocche che lasciarono increduli quelli che si ritenevano esperti di un genere che si riteneva unicamente da spiaggia, da beach volley, da ragazzetti senza grandi cose da fare.
Good vibrations divenne il manifesto di un’epoca. Epoca fatta però d’amore, il che non vuol dire banale e superficiale. Se da una parte Baglioni lo vedeva realizzato, quarant’anni fa, in “un bene più profondo/ e un altro che ti dia respiro/ e che si curvi verso te”, Brian lo rendeva tangibile, quasi vent’anni anni prima, in un’altra canzone-mito in grado di scavalcare i tempi: “God only knows”. Solo Dio può sapere il timore della separazione, solo Dio può conoscere cosa saremmo senza l’amore dell’altra o dell’altro. Un messaggio in grado di arrivare a tutti grazie alla costruzione musicale in cui i cori dei ragazzi di Spiaggia rendevano quasi celestiale una semplice, breve, forse banale canzone d’amore per adolescenti ma che, nell’incantata perfetta fusione di parole, amore e musica, hanno fatto uno degli hit assoluti della musica moderna. E, a proposito di musica, canzoni di quarant’anni fa, quella di Claudio e altre “vecchie” di sessanta, come quelle di Brian Wilson e dei Beach Boys, dimostrano come questo sia un universo a sé, perfetto nelle sue tappe vitali, non letteratura, ma neanche pura canzonetta di consumo mordi e fuggi. Perché danno modo, ancora oggi, di riflettere sulle ali della musica e di riscoprire, miracolosamente, la bellezza improvvisa del nostro esserci oggi, come i “musi di bambini contro i vetri”. Quella che incarna la rivelazione dell’attimo fuggente.