Liberazione e Lavoro

Due ricorrenze a pochi giorni di distanza che non sono esclusiva di una parte politica e, quest'anno, il saluto a Papa Francesco: da non dimenticare il suo impegno incessante per promuovere la libertà

(Foto Siciliani - Gennari/SIR)

Ogni anno, a soli sei giorni di distanza, celebriamo in Italia due feste civili (e stavolta con bei “ponti in serie”, almeno per le scuole): l’anniversario della Liberazione – quest’anno l’80° tondo –, il 25 aprile, e la festa dei lavoratori, il 1° maggio. Ambedue le ricorrenze, secondo una certa narrativa, sono state da sempre “requisite”, o comunque fatte proprie tendenzialmente “in esclusiva”, dalla cosiddetta “sinistra”. Si tratta evidentemente di un abuso, avallato spesso troppo passivamente. Chiariamo subito: non si tratta certo di “espropriare” questo orientamento politico dal diritto di celebrare sia la Liberazione che il Lavoro, ma semplicemente di ricordare a quanti se ne appropriano in esclusiva che si tratta di “beni” comuni, cioè appartenenti anche ad altri, anzi, fondamentalmente, a tutti.

La cosa dovrebbe essere lapalissiana (ma, purtroppo, pare sia ancora lontana dal diventarlo, nonostante la “sinistra” in Italia da tempo vada sbriciolandosi e perdendo molti connotati, trovando invece proprio in questi aspetti un alcunché di “unitario”), al solo pensare che, per quanto riguarda la prima “festa”, la Resistenza fu combattuta da italiani di tanti schieramenti, praticamente appunto di tutti (tranne ovviamente i fascisti o repubblichini), credenti e non credenti: popolari, azionisti, liberali, monarchici, socialisti – c’era persino una “brigata ebraica” – e …comunisti. Senza dire che questi ultimi, pur gradendo i necessari rifornimenti degli alleati occidentali, avrebbero volentieri optato per una scelta di “falce e martello” a braccetto col partito comunista sovietico, relegando l’Italia nell’altra parte del mondo rispetto a quella che poi compresero essere anche per loro la più conveniente. E sarebbe dunque il tempo (o servirà arrivare al centenario?) di riconoscere questo dato di fatto senza pretese di primogeniture e senza risentimenti se non ci si vede riconosciuto il primo posto.

Quanto alla seconda ricorrenza, è ancora più evidente – anche se a guidare la riscossa della “classe operaia” pare sia stato proprio un certo Karl Marx, ma in ben altri tempi e ben diversamente dal comunismo poi realizzato storicamente – che il “lavoro” è un bene di tutti, e tutti i “lavoratori”, di ogni estrazione (basti pensare alle varie sigle sindacali…), hanno diritto a “festeggiarlo”, anzi, a difenderne il valore universale, rivendicandone le tutele e il giusto compenso; senza mai dimenticare da una parte i “pensionati”, che hanno già lavorato una vita, e dall’altra i giovani che si preparano al lavoro e i disoccupati che attendono ansiosamente di trovarlo. E’ appena il caso di ricordare che proprio alcuni grandi stati alfieri del comunismo (passato e presente) conculcano diritti elementari sfruttando al massimo gli operai per comprimere al minimo il costo del lavoro… (Russia e Cina, e non solo, insegnano). Coincidenza vuole – cambiando un po’ atmosfera – che anche la Chiesa si è inserita proprio in queste due ricorrenze. Anzi, a dire il vero, la prima è in calendario da sempre come “festa” dell’evangelista S. Marco (quest’anno dentro l’Ottava pasquale), particolarmente caro alle genti venete, ma santo di valore universale: evenienza piuttosto trascurata o passata sotto silenzio, dimenticando persino che proprio nel suo emblema è iscritta la parola “pace”. Per la seconda, la liturgia della Chiesa ha pensato bene di avvalorarla (non certo di appropriarsene) abbinandovi la festa di S. Giuseppe lavoratore, istituita appunto al 1° maggio da Pio XII nel 1955. Senza la pretesa che la festa ecclesiale sopravanzi quella laica, va semplicemente ricordato che anche i lavoratori hanno il loro patrono – e di quale rango! -; non sarà male invocare pure lui, oltre a riempire piazze, sventolare bandiere e gridare slogan.

Infine, senza annoiare il lettore, proprio nell’intervallo tra le due ricorrenze, quest’anno, abbiamo dato l’ultimo saluto al caro papa Francesco: la circostanza ci spinge a sottolineare, tra i tanti aspetti del suo vigoroso magistero rivolto al mondo intero, il suo impegno incessante per promuovere la libertà, la riconciliazione, la vera pace e la serena convivenza contro ogni guerra, vendetta, discriminazione ed emarginazione; come pure la sua scelta degli ultimi, tra i quali sono compresi i disoccupati, i migranti in cerca di lavoro e di dignità, gli sfruttati ad ogni livello e in ogni ambito. Lezioni sempre da ripassare! 

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