Giubileo 2025. Quando la danza ti mette le ali e diventa speranza di vita, gioia e rinascita

"Quando esco da qui potrei ballare anche sulle nuvole". "Non sono più vittima dei pensieri della mente". "Questo percorso è stato la mia salvezza". Sono le testimonianze al Sir di alcune partecipanti al progetto "Balla con me" avviato per le donne operate di carcinoma mammario dalla psico-oncologa Simona Carloni e dall’infermiera suor Rolanda Sabellaga del Centro di senologia dell’Azienda Ospedaliera San Giovanni Addolorata di Roma. "In questi mesi - dice l'insegnante Saria Cipollitti, performer, autrice e regista - sono cresciuta moltissimo perché quello che vivo in questa sala non lo vivo da nessun’altra parte. Ora sono un’altra persona”. Dopo una prima esibizione del gruppo lo scorso ottobre durante il Festival della vita consacrata, la prossima performance si terrà in giugno

(Foto Calvarese/SIR)

La prima percezione entrando in sala è la musica, calda e avvolgente. Poi i movimenti lenti e fluidi delle danzatrici, guidate dall’insegnante Saria Cipollitti e letteralmente trasportate dalla musica. Si riuniscono tutti i venerdì pomeriggio all’Esquilino le “nuvole rosa” del progetto “Balla con me”, avviato dalla psico-oncologa Simona Carloni e dall’infermiera suor Rolanda Sabellaga del Centro di senologia dell’Azienda Ospedaliera San Giovanni Addolorata di Roma e destinato alle donne operate di carcinoma mammario e ancora in terapia. Il gruppo è attualmente costituito da 28 partecipanti, dai 24 ai 78 anni. Il Sir le ha incontrate e ha raccolto qualche testimonianza a margine della “lezione”.

“Quando esco da qui potrei ballare anche sulle nuvole”, ci dice Francesca. Romana, 62 anni, è stata operata di carcinoma alla mammella nel dicembre 2022: “Proprio sotto Natale”, esordisce. “Al Centro di senologia del San Giovanni, la prima persona che ho visto è stata la dottoressa Simona (la psico-oncologa Carloni, ndr). Avevo lo sguardo spaventato a morte e mi ha chiesto: ‘Che cosa hai?’. Il suo sorriso mi ha immediatamente calmato; poi ho visto il chirurgo, una persona simpaticissima, e da quel momento mi sono sentita protetta, confortata, e sono entrata nel percorso con Simona e con le altre persone che partecipavano alle sue iniziative”. “Questa saletta – prosegue -, anche se facciamo movimenti un po’ imperfetti, risuona delle nostre risate e questo ci rende felici. Quando poi riusciamo a fare bene la performance, esplode in noi una gioia che coinvolge tutte, una forte emozione che ci parte da dentro:

ridiamo, ci abbracciamo e in quel momento la malattia non esiste più.

Stiamo davvero bene” perché quando “l’ansia, le angosce, le paure che purtroppo ti assalgono in questa situazione in cui ti senti indifesa, vengono espresse e condivise”, è più facile affrontarle.

“Non sono più vittima dei pensieri della mente”. Paola, 64 anni, è stata operata circa tre anni fa al San Giovanni: “Lì ho trovato il massimo delle cure e delle attenzioni, sono stata seguita molto bene fin dall’inizio, mi sono sentita coccolata”. Otto mesi prima della diagnosi di carcinoma mammario Paola aveva avuto un ictus. “Mi è crollato il mondo addosso – racconta -, per me carcinoma era uguale a morte. Quando ho ritirato l’esame istologico, ho avuto bisogno di un aiuto e ho incontrato la dottoressa Simona che mi ha fatto conoscere il percorso mindfulness, un momento importante nel mio percorso di cura, perché oltre a ritrovare me stessa ho condiviso con altre donne questo cammino cercando di far vincere il coraggio sulla paura”. “Quando veniamo qui – prosegue – siamo felici: non è solo un corso di danza; è un tirare fuori delle emozioni in maniera consapevole e questo collegamento mente-corpo mi aiuta moltissimo sia come esperienza, sia per l’energia che si crea con chi condivide con me il percorso”. A causa dell’ictus, Paola aveva paura di iniziare l’ormonoterapia per evitare recidive. “Mi hanno aiutato la mindfulness e le parole della dottoressa Simona:

‘La tua mente ha paura, il tuo corpo, invece, ha bisogno della terapia ormonale’”.

Il percorso di danza – conclude – mi ha aiutato a non essere vittima dei pensieri della mente e a non rimuginare più sulle cose”.

“Mi sono sentita la prima ballerina della Scala”. Per Sandra, 65 anni, in pensione da tre, la diagnosi di carcinoma mammario arrivata nel 2018 è stata un fulmine a ciel sereno: “Facevo prevenzione ogni anno”, esordisce raccontando la difficoltà di avere dovuto affrontare da sola il percorso oncologico, “perché Simona e tutto questo ancora non c’erano, senza sapere che cosa mi sarebbe successo, ma con una determinazione e una forza che non sapevo di avere”. “Dopo i cinque anni ho suonato la fatidica campanella e sono relativamente tranquilla”, racconta spiegando che “al compimento del quinto anno di terapia e controlli, per il Centro sei ‘fuori’. In quell’occasione il professor Fortunato organizza una piccola cerimonia: si riuniscono tutti e il suono della campanella è il segno che forse ce l’hai fatta: un momento emozionante e di festa che ho condiviso con tutte le mie compagne di viaggio”. Il percorso di Sandra è stato segnato dal Covid che le ha portato via la mamma, e dalla terapia intensiva della sorella: “Sono stata travolta come da un treno ma quando ho conosciuto Simona ho capito che bisognava curare anche le ferite dell’anima e del cuore non ancora rimarginate;

questo percorso è stato la mia liberazione, la mia salvezza.

(Foto Calvarese/SIR)

Io che non ho mai ballato, quando danzo mi sento leggera e libera, una sensazione mai provata prima. Sono un po’ goffa ma, fin dalla prima lezione con la nostra insegnante, che è eccezionale, mi sono sentita la prima ballerina della Scala”. Sandra parla di “una luce” che la lega alle compagne e, pensando alla propria esperienza, sottolinea la “responsabilità” di incoraggiare e dare forza alle pazienti all’inizio del percorso di cura.

“Ora sono un’altra persona”. A parlare è Saria Cipollitti, 35 anni, danzatrice, performer, autrice, regista, e insegnante del corso, coinvolta nel progetto “da due guide fondamentali: la dottoressa Simona per la parte scientifica e suor Rolanda per la parte spirituale”. In una situazione di malattia e di fragilità, spiega, “noi lavoriamo su una danza consapevole che per tutte le partecipanti diventa mezzo per esprimere le emozioni e condividerle con il pubblico”. Si tratta di “acquisire più consapevolezza del proprio corpo, anche in relazione agli altri”, per “dare attraverso le coreografie una testimonianza di gioia”. Sullo sfondo danza contemporanea, jazz e “soprattutto musical”. Ovviamente “non puntiamo ad un movimento tecnico, estetico, ma ad un movimento espressivo-consapevole: attraverso una routine di passi e movenze, anche un piccolo gesto può racchiudere dolore, sofferenza, gioia”. “Il linguaggio del corpo è stupendo”, prosegue Saria, “ed è importante l’eleganza: i movimenti possono anche essere s

emplici ma devono essere eleganti. Poi, certo, quando la musica è più ritmata il movimento diventa più secco”. Obiettivo,

salire insieme sul palco per dare una testimonianza di gioia”.

Suor Rolanda, annuncia, “ha un bel programma: dopo l’esibizione al Festival della vita consacrata, lo scorso ottobre al Divino Amore, la prossima esibizione sarà a giugno”. “Lavoro da 10 anni come insegnante e come performer, sul palco e dietro le quinte – prosegue Saria -, ma per me questa è stata una grazia importante; il loro è un modo di darsi completamente diverso rispetto agli altri contesti, molto più profondo”. In un ambito segnato da sofferenza (e forza per superarla), Saria sostiene di dover portare “leggerezza”. All’inizio pensava di non riuscirci: “Sono sincera: pensavo di non farcela, ma nel momento in cui hai il coraggio della scelta ti viene una forza che non pensavi di avere. Ovviamente devi avere guide importanti, come Simona e suor Rolanda lo sono per me. Sono credente, mi sono affidata, l’energia e la forza poi arrivano”. “La danza, il mio linguaggio, è il mezzo per comunicare e questo rende tutto più semplice. Ho trovato la chiave attraverso la mia arte; con le parole è molto più difficile. Di fronte a una grande sofferenza bisogna essere presente: non ti ricordi le parole, ti ricordi se c’è stata o meno questa presenza.

Loro sanno che qui ogni venerdì troveranno sempre me e suor Rolanda; alla fine è questo che conta.

Prima non conoscevo la solitudine di chi intraprende un percorso di cura in ospedale dove spesso sei solo un numero. Non così al San Giovanni: suor Rolanda ha preso per mano donne che stavano attraversando una forte sofferenza e le ha portate qui. In questi mesi sono cresciuta moltissimo perché quello che vivo in questa sala non lo vivo da nessun’altra parte. Ora sono un’altra persona”.

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