Malattie rare. Bartuli (Bambino Gesù): “Oltre a diagnosi e cure servono accoglienza e sostegno per bimbi e famiglie”

Oggi ricorre la Giornata mondiale delle malattie rare. In Italia i malati rari sono circa 2 milioni, di cui il 40% bambini. Due/tre anni il tempo medio per la diagnosi, ma un quarto di pazienti ne è ancora privo. Intervista con il responsabile di Malattie rare dell’ospedale pediatrico romano che ripercorre l’odissea delle famiglie. “La ricerca va avanti e l’industria farmaceutica è un solido alleato”, sostiene, “ma intanto ci dovrebbero essere più accoglienza e più giustizia per queste famiglie”

(Foto ANSA/SIR)

Andrea Bartuli è il responsabile dell’Uoc Malattie rare e Genetica medica dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. Oggi, Rare Disease Day (Giornata mondiale delle malattie rare), lo abbiamo intervistato. “Mio compito – ci spiega – è dare un accesso diretto ai pazienti; per questo ho creato con l’ospedale vari percorsi dedicati a singole malattie rare, ma numerose, o a gruppi di malattie rare o ultrarare in modo che i pazienti possano accedere direttamente con l’e-mail del medico senza passare per il Cup e senza perdere tempo”. Perché la corsa contro il tempo è strategica. Si definiscono “rare” tutte le condizioni che colpiscono non più di un bambino su 2mila nati. Si tratta di patologie generalmente progressive, multiorgano, invalidanti e, nell’80% dei casi, a eziologia genetica. Nel mondo i malati rari sono 300 milioni;

in Italia sono circa 2 milioni, di cui il 40% bambini.

Sono intanto 18 i nuovi geni-malattia identificati nel 2023 dal Bambino Gesù, e oltre 18mila i bambini e gli adolescenti seguiti e inseriti all’interno delle Rete regionale del Lazio delle malattie rare. Per ottenere una diagnosi i pazienti aspettano mediamente due/tre anni; “ma prima di arrivare alla diagnosi corretta – sottolinea il medico -, passano in media attraverso due o tre diagnosi sbagliate”. Si tratta di famiglie fragili, “non solo perché al loro interno è presente una cronicità su un figlio, ma perché queste condizioni richiedono per la cura mediamente cinque specialisti diversi”. Nell’ambito dei percorsi messi a punto del dottor Bartuli, anche quelli per malati senza diagnosi per i quali dal 2016 è stato attivato al Bambino Gesù un ambulatorio dedicato.

(Foto Vita.it)

Dottore, qual è la percentuale di questi pazienti senza diagnosi?
Un tempo potevamo andare a cercare un gene alla volta, oggi la tecnologia Next Generation Sequencing (NGS) ci permette di analizzare e caratterizzare simultaneamente tutti i geni che sappiamo essere coinvolti. Di conseguenza la mancata diagnosi, che un tempo riguardava il 40% dei malati rari, è oggi scesa ad un 20-30%.

Quanti sono i bambini e gli adolescenti seguiti al Bambino Gesù?
Ne seguiamo circa 25mila e ne abbiamo iscritti nel Registro malattie rare del Lazio, ossia arruolati, 18.300; di questi il 40% sono extra Regione.

La legge 167/2016, che ha esteso lo screening neonatale su tutto il territorio nazionale, viene applicata in modo omogeneo?
L’Italia è leader nel mondo per quanto riguarda lo screening neonatale. Noi screeniamo infatti 40 malattie congenite che sono curabili, e per questo le screeniamo; altri Paesi ne screenano al massimo una dozzina. L’applicazione di questa legge su tutto il territorio nazionale non è stata immediata perché in Italia viviamo purtroppo il problema della regionalizzazione della sanità; oggi però viene applicata in tutto il Paese.

Quanto sono importanti screening neonatale e prenatale?
È possibile fare uno screening prenatale non invasivo su alcune condizioni causate da un’anomalia del numero di cromosomi, andando a rintracciare il Dna fetale nel sangue della mamma. L’amniocentesi è più invasiva. Appena nati, tutti i bambini in Italia ricevono una punturina nel tallone dalla quale esce qualche goccia di sangue che viene analizzata per cercare i metaboliti che sono il segnale di allarme della presenza di 40 condizioni metaboliche. Se individuate prima della comparsa dei sintomi, queste condizioni possono essere curate impedendo lo sviluppo di danni e di morte, perché alcune di queste malattie nei primi giorni di vita sono mortali.Lei vive l’odissea diagnostica delle famiglie di bambini con malattia rara. Quali sono le difficoltà che affrontano?

Anzitutto devono fare i conti con il bambino reale, diverso da quello sognato durante l’attesa.

Un bambino che, a differenza di quello immaginato, ha un ritardo, fa fatica a nutrirsi e a crescere, o ha addirittura delle malformazioni. Queste le domande che mi fanno:

che cosa ha mio figlio? si può curare? quale sarà il suo futuro?

La prima cosa da fare è individuare la malattia e darle un nome, perché solo così è possibile spiegare ai genitori qual è la storia naturale di quella condizione, e se è possibile modificarla con delle cure. Questo è fondamentale. Anzitutto perché dà dignità – anche nelle forme non immediatamente curabili – ad una condizione di sofferenza del bambino e della famiglia; poi perché consente alla famiglia di confrontarsi con altre famiglie con figli nella stessa condizione. Una condivisione emotiva che diventa anche un’opportunità per riunirsi in associazioni e creare una massa critica che in qualche modo sia di stimolo al mondo della ricerca e dell’industria a capire i meccanismi alla base di queste condizioni e ad incentivare la ricerca di nuove terapie. Alcune di queste malattie sono ancora orfane di cure.

Qual è il suo auspicio per l’odierna Giornata mondiale?
Una sensibilizzazione che porti ad

una vera accoglienza dei bimbi e delle famiglie all’interno della società.

Si tratta di famiglie, spesso monoreddito perché uno dei genitori deve lasciare il lavoro per accudire il figlio, che sopportano pesi e costi enormi. Coinvolti anche i nonni e i sibling, ossia i fratelli non malati che si vedono sottrarre risorse ed energie. Al sud Italia i costi di queste condizioni sono coperti solo per il 20-30% dallo Stato; al nord salgono al 40-60% ma in buona parte sono a carico delle famiglie. Questi bambini devono avere i loro spazi, devono vedere riconosciuta la propria dignità perché la vita ha un valore a prescindere dalla sua durata e dalle sue condizioni. Su questo il nostro Paese deve imparare ancora molto. Il mio auspicio è che questi bimbi, soprattutto quando vivono condizioni disabilitanti, vengano realmente accolti all’interno della società e della scuola, e che le famiglie vengano sostenute in modo degno ed equo.

Dobbiamo concentrarci sulla loro inclusione e sul pieno esercizio dei loro diritti. La ricerca va avanti e l’industria farmaceutica è un solido alleato perché si è visto che, comprendendo il meccanismo di queste malattie rare, si comprende meglio anche quello delle malattie comuni.

Però, fin da subito, ci dovrebbe essere più giustizia per queste famiglie.

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