Crollo in cantiere a Firenze. Anmil: “In un Paese civile siamo come in guerra sul lavoro”

L’edilizia è il settore che presenta gli indici di frequenza infortunistica più elevati in assoluto, soprattutto per quanto riguarda gli incidenti mortali. Da una decina di anni gli incidenti in questo settore hanno ripreso a mietere vittime nei cantieri edili. Dai 155 morti del 2012 si è passati, infatti, ai 202 del 2019 per proseguire anche nel biennio della pandemia (205 morti nel 2020 e 208 nel 2021). E le prospettive sono tutt’altro che incoraggianti: nel 2023 (dati provvisori) il numero dei morti sul lavoro nelle costruzioni è cresciuto di quasi il 25%

(Foto ANSA/SIR)

Quattro morti e un disperso: questo è il bilancio attuale del drammatico crollo in un cantiere a Firenze, avvenuto venerdì 16 febbraio. Si continua a scavare per recuperare il corpo della quinta vittima. L’edilizia è il settore che presenta gli indici di frequenza infortunistica più elevati in assoluto, soprattutto per quanto riguarda gli incidenti mortali. Gli incidenti in questo settore, dopo un lunghissimo periodo di continuo calo iniziato dal dopoguerra, da una decina di anni hanno ripreso a mietere vittime nei cantieri edili. Dai 155 morti del 2012 si è passati, infatti, ai 202 del 2019 per proseguire anche nel biennio della pandemia (205 morti nel 2020 e 208 nel 2021). E le prospettive sono tutt’altro che incoraggianti: nel 2023 (dati provvisori) il numero dei morti sul lavoro nelle costruzioni è cresciuto di quasi il 25%. Le tipologie di incidenti più frequenti nel settore sono le cadute dall’alto, modalità che da sola raggruppa oltre la metà degli infortuni mortali (54%). Da un recente studio Inail emerge che nel 30,8% dei casi la caduta è avvenuta da tetti o coperture, nel 23,9% da attrezzature per lavori in quota (scale portatili, trabattelli, ponteggi) e nel 15,9% da parti in quota di edificio (terrazzi, parapetti, aperture). Le conseguenze di una caduta dall’alto sono gravissime e spesso letali: nel 77% dei casi si tratta di fratture che riguardano prevalentemente il cranio (53,2%). Si registra uno stillicidio di operai morti nei piccoli cantieri che operano nel campo delle ristrutturazioni o di piccole costruzioni. Si tratta di oltre 600mila piccole imprese con meno di 10 addetti, che rappresentano il 91% di tutte le imprese del settore. Secondo gli ultimi dati dell’Inl (Istituto nazionale del lavoro), nel 2022 sono stati definiti 16.037 accertamenti complessivi, nell’ambito dei quali sono stati contestati illeciti in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro nei confronti di 13.237 aziende, per un’incidenza percentuale totale di aziende riscontrate irregolari che si attesta all’83%, in crescita rispetto al 77% del 2021. Analizzando nel dettaglio la tipologia di violazioni penali, il 22% ha riguardato il rischio cadute dall’alto.

(Foto: ANSA7SIR)

“Gli incidenti mortali rappresentano un problema che attanaglia l’edilizia da anni: da anni si continua a morire per cadute dall’alto, perché crollano tetti e altri incidenti del genere. Il dramma di Firenze e le tante vittime sul lavoro nell’edilizia lasciano pensare che qualcosa non funzioni” dice al Sir Emidio Deandri, vice presidente nazionale dell’Anmil. “A mio avviso – aggiunge – è assurdo che un pilone progettato possa crollare com’è successo a Firenze, soprattutto visto che oggi possiamo avvalerci di tecnologie avanzate e dovrebbe esserci un’attenzione totale da riservare a chi svolge attività di lavoro pericolose. Sulla tragedia di Firenze, che ha distrutto vite umane – 4 morti, un disperso ancora sotto le macerie e vari feriti -, la magistratura farà chiarezza: su come si è rotto un pilone, se è stato un problema strutturale. Ma quel dramma ci deve anche far porre una domanda: questi lavoratori erano adeguatamente formati sul pericolo collegato all’attività che svolgevano? Avevano seguito corsi sulla sicurezza?”. Deandri spiega: “Troppo spesso la formazione si riduce a riempire moduli, ma non sempre questo si traduce in reali corsi sulla sicurezza. Non basta che i lavoratori firmino carte su cui c’è scritto che hanno svolto un corso di 30 o 40 ore, dobbiamo avere la certezza matematica che siano stati davvero seguiti. Ci deve essere la massima trasparenza. Per questo ci chiediamo se i lavoratori morti a Firenze come in altri casi di incidenti gravissimi sui cantieri avessero seguito corsi sulla sicurezza”.

Il vice presidente dell’Anmil denuncia:

“I dati provvisori nel 2023 ci dicono che il numero dei morti sul lavoro nelle costruzioni è cresciuto di quasi il 25%. Questo ci lascia sgomenti: in un Paese civile è mai possibile che si continui a morire per cadute dall’alto o perché crolla qualcosa?”.

A Firenze “era un cantiere nuovo, quindi devo pensare che gli ingegneri che hanno progettato quel pilone sapessero quello che stavano facendo. Perciò, mi chiedo anche se c’è stato un coordinamento tra le varie aziende che lavoravano nel cantiere. Solitamente quando ci sono diverse aziende all’interno dello stesso cantiere devono dialogare tra loro e deve esserci un capocantiere che deve coordinare il lavoro di tutte le aziende nel cantiere stesso. Non sappiamo se a Firenze sia successo e su questo, come dicevo, farà chiarezza la magistratura. Noi come Anmil ci costituiremo come sempre come parte civile nel processo. E i colpevoli devono essere condannati in modo fermo e deciso”. Un altro problema sono i controlli: “Se abbiamo 600mila aziende, piccole e medie imprese, e se è vero quello che l’Inail dice, cioè che un’azienda viene controllata ogni 30 anni, non usciremo mai da tragedie come quelle a cui assistiamo continuamente. I controlli farebbero, invece, mantenere alta l’attenzione sulla sicurezza”. E, ancora, un problema sono “i subappalti, come nel caso di Firenze: spesso le aziende prendono un appalto a 100, lo cedono al 70-80%. L’azienda che lo prende molto spesso risparmia, purtroppo, quasi sicuramente proprio sulla sicurezza. È il principio del ribasso che non va bene, mi preoccupa molto perché mi chiedo dove verrà fatto lo sconto dalle aziende? Mi resta il dubbio che il risparmio venga fatto sulla sicurezza e i risultati sono sotto gli occhi di tutti”.

Ma perché in Italia non riusciamo a evitare morti sul lavoro? “Dobbiamo far in modo che le norme esistenti siano rispettate dalle aziende. Come Anmil da anni abbiamo messo in campo la Scuola della testimonianza. Nostri associati che hanno subito un infortunio, nell’ambito della formazione, vanno nelle aziende e nelle scuole a raccontare la propria storia: vedere lavoratori che hanno subito infortuni, sentire le loro storie è un modo per scuotere in modo forte le coscienze sia di imprenditori sia di lavoratori sia di studenti, infatti mostra sotto gli occhi di tutti che il mancato rispetto delle norme di sicurezza può portare alla disabilità. Come Anmil chiediamo che siano fatte leggi severe, in modo tale che un datore di lavoro rischia davvero il carcere, oggi sono condannati per omicidio colposo, ma poi patteggiano o i processi vanno in prescrizione. La condanna deve essere certa, altrimenti continueremo a dire le stesse cose dopo ogni incidente sul lavoro mortale e continueremo ad avere morti e invalidi sul lavoro”. L’esperto evidenzia:

“La mancata sicurezza a livello nazionale ci costa dal 3 al 6% del Pil, altro che manovra finanziaria, basterebbe diminuire del 15% gli infortuni annualmente e avremmo a livello nazionale un tesoretto, oltre a salvare vite umane”.

“Anche nel 2023 – prosegue – abbiamo superato i mille morti sul lavoro e oltre 5mila infortunati, che ricadono sulla collettività, sul Servizio sanitario nazionale, quindi sui conti dello Stato. E invece continuiamo a trovarci davanti a queste tragedie, solo pochi mesi fa ero successo il gravissimo incidente ferroviario a Brandizzo”. Deandri denuncia:

“Sono fatti incredibili per un Paese civile. Noi non siamo in guerra ma abbiamo l’impressione di esserlo sul lavoro”.

Per questo, rimarca, “servono norme chiare, invece spesso le leggi italiane sono fatte a interpretazione, ma questo non va bene. Sui corsi si deve avere la certezza che i lavoratori li facciano e ne escano formati e informati sull’attività da svolgere”. E, sottolinea il vice presidente dell’Anmil, “non dimentichiamoci che non muoiono solo i lavoratori, ma tutta la famiglia. Lo stesso è gravissimo quando ci sono infortuni che lasciano invalidi. Io ho vissuto la perdita di mio padre sul lavoro e con lui siamo morti tutti: mia mamma, i miei fratelli ed io, perché è venuto a mancare il pilastro della nostra famiglia. Poi dopo tanti anni io stesso ho avuto un infortunio grave sul lavoro”.

Di quanto un incidente mortale coinvolga tutta la famiglia del lavoratore lo testimonia al Sir Paola Batignani, vedova di Alessandro Rosi e vice presidente della Fondazione Anmil “Sosteniamoli subito”: “Era il 9 agosto 2019 e Alessandro si trovava a lavorare a Cremona in una delle acciaierie più grandi d’Italia e di Europa. Alle ore 10 una trave di 86 tonnellate è caduta schiacciando la cabina della gru non permettendo ad Alessandro di uscirne vivo, per alzare quella maledetta gru ci sono volute quattro gru a differenza del lavoro che mio marito stava svolgendo dove le gru impiegate erano solo due. Quel maledetto giorno non hanno solo ucciso Alessandro ma hanno ucciso anche me e nostro figlio Giulio”. Batignani osserva: “Non riusciamo a far rispettare norme e mezzi di protezione a mio modestissimo parere per due motivi: manca la percezione del rischio da entrambe le parti, datori di lavoro e lavoratori. Succede spesso che manchi la percezione di ciò che può succedere: anch’io non mi ero mai resa conto che in Italia si morisse di lavoro fino al 9 agosto 2019, il secondo motivo purtroppo ancora più grave è il fatto che non ci siano pene certe, non ci siano controlli da gli enti preposti”.

Dopo la morte di un congiunto sul lavoro, “le difficoltà – racconta Paola – sono molte: una tra le più difficili è quella di tornare a vivere o comunque dover riscrivere completamente la propria vita. Le famiglie di chi non c’è più rimangono sole, non ci sono sostegni psicologici e un figlio all’età di 18 anni non percepisce neanche più dall’Istituto un riconoscimento economico, come se un padre a 18 anni buttasse i propri figli per la strada”. Ma non solo: “Un’altra difficoltà che la famiglia si trova a subire quotidianamente è il senso di ingiustizia per queste morti sul lavoro, basti pensare che vengono chiamate morti bianche perché impunite… Come può un familiare tornare alla vita pensando a ciò che qualcuno ha fatto al proprio caro e che non pagherà mai?”.

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