Preparare il Natale

Preparare è una parola bella. Profuma di casa, di cura, di affetti. Significa predisporre ciò che servirà più avanti, perché sia pronto al momento opportuno, e in genere non solo per sé stessi. Non ci si mette a preparare qualcosa se manca l’amore. Al massimo si programma, più spesso si improvvisa. Ho l’impressione che viviamo in un mondo in cui l’improvvisazione dell’ultimo minuto (magari venduta come “spontaneità”) o, all’opposto, una iper-programmazione di matrice tecnocratica gestionale, tradiscano in realtà una profonda e diffusa mancanza di amore nel fare le cose, solo in parte giustificata dalla cronica mancanza di tempo che assilla la maggior parte di noi. Mi chiedo allora se ci stiamo davvero preparando al Natale, come singoli, come comunità, come Chiesa. O se non stiamo solo “ri-programmando” il Natale (compreso il suo aspetto liturgico) e i giorni di festa e di vacanza che seguiranno il 25 dicembre, travolti come sempre dalle cose da fare e dal carrozzone commerciale, ma senza un reale coinvolgimento del cuore, dei sentimenti, della nostra umanità.

Preparare è una parola bella. Profuma di casa, di cura, di affetti. Significa predisporre ciò che servirà più avanti, perché sia pronto al momento opportuno, e in genere non solo per sé stessi. Non ci si mette a preparare qualcosa se manca l’amore. Al massimo si programma, più spesso si improvvisa. Ho l’impressione che viviamo in un mondo in cui l’improvvisazione dell’ultimo minuto (magari venduta come “spontaneità”) o, all’opposto, una iper-programmazione di matrice tecnocratica gestionale, tradiscano in realtà una profonda e diffusa mancanza di amore nel fare le cose, solo in parte giustificata dalla cronica mancanza di tempo che assilla la maggior parte di noi. Mi chiedo allora se ci stiamo davvero preparando al Natale, come singoli, come comunità, come Chiesa. O se non stiamo solo “ri-programmando” il Natale (compreso il suo aspetto liturgico) e i giorni di festa e di vacanza che seguiranno il 25 dicembre, travolti come sempre dalle cose da fare e dal carrozzone commerciale, ma senza un reale coinvolgimento del cuore, dei sentimenti, della nostra umanità.
Ha fatto notizia, all’inizio dell’Avvento, la proiezione di immagini luminose della Natività sulle enormi insegne pubblicitarie della centralissima Times Square di New York. Iniziativa ecumenica promossa e finanziata da mormoni, cattolici e alcune chiese evangeliche, pare abbia colto davvero tutti di sorpresa, sostituendo per alcuni minuti alle consuete scintillanti pubblicità le immagini e i simboli del Natale cristiano. Dicono che per qualche istante un silenzio irreale sia sceso in una delle piazze più frequentate e trafficate del mondo, luogo simbolo del capitalismo e del sogno americano. Un attimo di contemplazione inattesa, davanti all’immagine di un Bimbo capace di risvegliare nella sua povertà e tenerezza la nostalgia di Dio. Ecco, se vogliamo davvero preparare il Natale, dovremmo forse ripartire tutti da lì, dalla contemplazione umile e amorevole di quel bambino nato in una povera mangiatoia per essere sorprendentemente la Luce e il Salvatore del mondo. Si può iniziare dedicando tempo e cura alla preparazione del presepe nelle nostre case, seguendo l’ispirata intuizione che mosse Francesco giusto 800 anni fa nel dare vita a Greccio alla prima rappresentazione della Natività. Ma soprattutto in questi giorni si dovrebbe preparare la nostra vita a diventare culla accogliente per questa Presenza piccola e misteriosa che ancora cerca cuori innamorati in cui rinascere e da cui diffondere amore e pace nel mondo. Se vogliamo preparare il Natale dovremmo chiederci innanzitutto se davvero amiamo Gesù, se vogliamo lasciare che Lui entri nella nostra vita, permettendogli di stravolgere le nostre priorità, i nostri criteri di valutazione delle cose, i nostri sogni di successo. Questo modo di preparare il Natale chiede soprattutto un rientrare in sé stessi, un trovare spazi di silenzio e contemplazione, di preghiera e meditazione. Chiede la disponibilità all’esame di coscienza, al pentimento e alla conversione, perché potrebbe darsi che tra la paglia della mangiatoia sia finito anche qualche brutto ramo irto di spine. Questo modo di preparare il Natale non esclude i doni e i momenti conviviali, ma ci interroga sul perché li facciamo e a chi li rivolgiamo; con quale spirito, con quali attenzioni e intenzioni. Ci ricorda che Dio sta dalla parte dei piccoli, degli umili e dei poveri della terra; che Dio ama chi dona con gioia, senza aspettarsi il contraccambio; che i regali più belli a Natale sono quelli che ridonano un sorriso a chi è provato dalla vita e i pranzi o i cenoni più prelibati sono quelli che portano gli amici, i fratelli e i vicini a ritrovarsi e riconciliarsi.

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