Kaladich (Fidae): “Gli studenti meritano una scuola competente in umanità”

“In un contesto sociale e culturale nel quale potremmo vederci rassegnati di fronte alla violenza e alla guerra, la scuola con il suo amore al sapere, può incantare, nel senso che può provocare nei suoi allievi e in chi la frequenta il desiderio di un 'cambiamento di rotta'”. È uno dei passaggi chiave della relazione con cui Virginia Kaladich ha aperto la 78° Assemblea Nazionale della Fidae, svoltasi a Roma in questi giorni presso la Pontificia Università della Santa Croce a Roma.

ANSA/SIR

“In un contesto sociale e culturale nel quale potremmo vederci rassegnati di fronte alla violenza e alla guerra, la scuola con il suo amore al sapere, può incantare, nel senso che può provocare nei suoi allievi e in chi la frequenta il desiderio di un ‘cambiamento di rotta’”. È uno dei passaggi chiave della relazione con cui Virginia Kaladich ha aperto la 78° Assemblea Nazionale della Fidae, svoltasi a Roma in questi giorni presso la Pontificia Università della Santa Croce a Roma.
Parole profetiche, che fanno riflettere, soprattutto in questi giorni, nei quali la violenza, è tornata a colpire mietendo la vita di un’altra donna, una ragazza, colpevole, forse, anche di aver raggiunto un traguardo importante, quale quello della laurea, prima del suo ragazzo trasformatosi poi nel suo carnefice. Il triste femminicidio di Giulia Cecchettin, anche se la la Fidae si occupa di scuola e non di università, è stato comunque uno dei temi affrontati nel corso dell’Assemblea. In particolare corso di due workshop il primo dei quali, gestito dal professor Alessandro Ricci, psicologo e psicoterapeuta presso la Pontificia Università Salesiana dedicato proprio al tema dell’educazione all’affettività. “Il tema dell’identità di genere – ha detto Ricci nel suo intervento – sia maschile che femminile, non è né scissa né scindibile dall’educazione globale della persona e dall’educazione emotiva e affettiva. Educare all’affettività implica educare alla comunicazione e alla condivisione, in un clima di rispetto, dove l’altro non è un oggetto da sopraffare o da collezionare, ma una persona con cui saper entrare in una relazione empatica”. Un concetto importante, che rimanda alla necessità di una comunità educativa che non si limiti alla scuola o alla famiglia, ma che sia capace di coinvolgere l’intera società, “le cui indicazioni educative – ha proseguito Ricci – sono spesso discordanti se non addirittura in opposizione l’una con l’altra e questo rende difficile l’educazione in generale”.

Nel secondo seminario, quello guidato dalla dottoressa Lucia Cozzolino, anche psicologa e psicoterapeuta, la riflessione si è concentrata sul ruolo del docente, chiamato ad essere sempre più autorevole e assertivo nei dei ragazzi. Un ruolo di estrema importanza proprio perché di supporto emotivo, che i docenti sono chiamati ad interpretare in relazione ai ragazzi e alle ragazze loro affidati, al fine di alimentare la speciale e unica relazione che nasce tra insegnate e studente. Una relazione tale che permetta ai ragazzi di fidarsi del proprio insegnante, di dare credito alle parole dell’educatore. “Solo in questo modo – ha sottolineato la Cozzolino – si potrà ottenere quella autorevolezza che pone limiti ragionevoli dando sostanza e certezza ai famosi “no” che se accolti tanto aiutano a crescere. I no della vita “contenitivi, che permettono di costruire un recinto all’interno del quale si favorisce la comunicazione”. Dai numerosi interventi nel corso del seminario, è emerso che gli adolescenti di oggi vivono una fragilità che “se da una parte – ha spiegato la Cozzolino – può “essere intesa come debolezza, dall’altra, se vissuta come punto di elaborazione di se stessi, può diventare un punto di forza”. In una società egoistica, performante e individualistica è necessario quindi  “mettere in campo la figura della comunità, spiegando ai ragazzi che il fallimento non è la fine di tutto, che fallire non mette in discussione il valore della persona e che  l’agonismo del primato a tutti i costi va sostituito con quello del miglioramento personale”. Un cambio di rotta per non vivere più l’impegno di un presunto “merito” con le caratteristiche classiste, ma il desiderio di superare se stessi e scoprire i talenti nascosti in ognuno di noi. Desiderio, sì, altra parola chiave, essenziale per “contrastare la la noia e la assenza di gioia che molto spesso colpisce i più giovani” vittime della “frustrazione” di non essere capaci di far fronte alle inevitabili difficoltà della vita. Difficoltà che troppo spesso vengono sottratte all’esperienza dei più giovani da genitori ansiosi di accontentarli in tutto. Un atteggiamento questo che, di fronte ai famosi “no” della vita e ai limiti di una sconfitta, di un brutto voto o di un rifiuto amoroso, può generare – in soggetti predisposti – risposte di violenza.
Riguardo alla questione del “merito” poi, la Presidente Kaladich ha voluto dare una declinazione “diversa” da quella più diffusa: “Ci sembra che la Scuola e in modo particolare quella Cattolica – detto la Kaladich – non debba badare solo a riconoscere il successo formativo di chi matura competenze adeguate, ma ancor prima debba essere una istituzione che, in quanto dedicata alla persona umana, chiede di essere meritabile. Gli studenti – ha concluso – meritano quindi educatori d’eccellenza, competenti nelle proprie discipline di insegnamento e in umanità”.

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