Natale 2022. Squillaci: “Nelle comunità terapeutiche ci accostiamo al mistero della vita che rinasce”

“In questi luoghi la festa è sempre un momento molto particolare, perché si ‘sente’ più forte la mancanza degli affetti… Eppure, in questi luoghi si può ascoltare ogni giorno la dolce melodia della speranza. Le parole del presidente della Fict introducono a storie su come viene vissuto il Natale in comunità, dal Trentino alla Sicilia

foto SIR/Marco Calvarese

“In un momento in cui sembra sempre più difficile trovare spazio per i sogni, in cui anche la cometa sembra essersi oscurata, nascosta dietro le mille luci artificiali che illuminano solo l’ipocrisia, mentre le ombre si allungano sempre più su un mondo che sembra aver dimenticato il senso che si cela dietro ogni vita, assistiamo anche quest’anno al paradosso del Natale vissuto nelle nostre comunità di accoglienza, cioè in quei luoghi dove sono accolte persone fragili, che hanno ceduto a una dipendenza, minori abbandonati, malati di Aids, anziani soli, donne in difficoltà”. A raccontare al Sir come si possano conciliare il Natale, che per noi cristiani è la realizzazione della promessa di Dio di darci il Salvatore, e comunità dove c’è gente che per il suo vissuto porta un carico di sofferenza nel cuore, è il presidente della Fict, Luciano Squillaci. “In questi luoghi – ci dice – il Natale è un momento da sempre molto particolare, perché si sente più forte la mancanza degli affetti, la mancanza di una famiglia perché è stata perduta o, peggio, perché è tradita oppure non è stata mai posseduta”. Squillaci avverte: “Eppure – ed ecco lo straordinario paradosso – è proprio in quel sentire che si torna a svelare il vero senso del Natale, perché in questi luoghi si può ascoltare ogni giorno la melodia dolce della speranza: la libertà riconquistata, la fragilità ricomposta, la dignità ricostruita di queste persone diventano mangiatoia per il Signore che torna, luce di speranza per tutti noi che abbiamo la fortuna, come i pastori in quella magica notte, di accostarci meravigliati al grande mistero della vita che rinasce. Questo è il Natale nelle nostre comunità”.

A raccontare i 40 Natali vissuti nel Ceis San Crispino di Viterbo è il suo presidente, don Alberto Canuzzi. “Dopo l’Immacolata iniziano gli addobbi : luci colorate, l’albero di Natale pieno di palline e foglietti con propositi di vita diversa, la preparazione del presepe; prove dei canti per la messa di Natale, preparativi per il cenone”. La sera della vigilia, tutti in cerchio, alla luce soffusa di candele, “condividono le loro emozioni, narrano i loro Natali passati : alcuni li hanno vissuti per strada, guardando con invidia le vetrine, magari ubriachi o sconvolti per non sentire la tristezza della solitudine; altri li hanno vissuti in famiglia… ma assenti alla festa dei familiari. Qui, invece, siamo tanti insieme, nel calore di una grande famiglia”. Don Alberto si traveste anche da Babbo Natale e porta a ciascuno un dono. Al cenone viene invitato anche qualche sacerdote solo, “per condividere la gioia di una festa particolare”. Poi la messa della notte di Natale: “Lì sull’altare c’è il Bambinello con le braccia aperte che vuole abbracciare tutti in segno di affetto e amore. La nascita di Gesù nella povertà, vera ricchezza del cuore, trasmette ai nostri ospiti la speranza che sono amati da Dio, al di là dei loro errori, che hanno una dignità di figli di Dio e soprattutto che ognuno di loro, come Gesù nel seno di Maria, sta nascendo in questa comunità che li ha accolti come il seno di una mamma e li prepara amorevolmente a camminare rinnovati in una società che aspetta anche il loro contributo. La speranza per ciascuno di loro è cercare la luce dopo tanto buio”, afferma don Canuzzi.

Gli adolescenti della Comunità semiresidenziale “Colonna” del Centro di solidarietà di Pescara vivono il loro Natale a casa con i genitori e i familiari che garantiscono la protezione necessaria quando non si è presenti in struttura, ma, evidenzia la presidente del Centro, Anna Durante, sono stati preparati a questo giorno lavorando con gruppi di sostegno e con incontri familiari in modo che, nel “qui e ora”, ci siano le condizioni favorevoli per una buona comunicazione e condivisione. All’interno della struttura” i ragazzi hanno utilizzato la loro fantasia e creatività per contribuire all’atmosfera festiva, sostenendosi a vicenda nell’intento di dare un senso nuovo a questo Natale. Il lavoro che, giorno dopo giorno, si svolge in comunità insieme ai propri pari e agli operatori contribuisce a far emergere dal loro cuore quel bisogno di bene per tanto tempo negato”. Quest’anno fare Natale significa per ognuno di loro “sollevarsi dalla propria sofferenza, aprirsi all’altro, prendersi cura di sé e delle persone a loro vicine. Si avverte che una timida speranza comincia a ‘far capolino’ nei loro cuori”.

(Foto: Fict)

Ed è Natale anche tra i minori stranieri non accompagnati (Msna). Padre Giovanni Mengoli, presidente del Consorzio gruppo Ceis (Modena, Bologna e Parma), sottolinea: “Maggiormente che nel passato tra i ragazzi che accogliamo notiamo l’assenza di prospettive o desideri verso il futuro, come se la fatica della vita li avesse già sufficientemente provati e disillusi”. Nella difficile situazione attuale, per padre Mengoli è “decisivo provare a strutturare un sistema in cui tutti gli attori debbano sentire di fare gioco di squadra a tutti i livelli: da quello nazionale a quello locale. Nessuno degli enti preposti a collaborare ad un’accoglienza così complessa può pensare di concentrarsi solo sul proprio pezzo di lavoro, prescindendo dalla collaborazione con gli altri attori”. Ma a Natale “l’inaugurazione pubblica del presepe fatto dai minori durante le attività interne di alfabetizzazione a Casa Merlani, a cui hanno collaborato musulmani, cristiani e tutti gli altri minori senza orientamento religioso esplicito, è un segnale di grande speranza. Ci ricorda che

il progetto della fraternità universale si può avviare dal basso, a partire proprio dai più giovani,

facendoci ritrovare la gioia di continuare a gestire nel miglior modo possibile la loro accoglienza”.

L’Associazione Casa Rosetta di Caltanissetta, da sempre impegnata sul fronte delle dipendenze patologiche, ha avviato un centro di ascolto ed aggregazione giovanile “Al Centro”, una “risposta alla necessità di porre in essere spazi intermedi tra scuola, casa e strada”, chiarisce il presidente di Casa Rosetta, Giorgio De Cristoforo. Ricordando l’emergenza educativa e i problemi di salute mentale di giovanissimi, insieme con le richieste d’aiuto per l’uso di alcol, cannabinoidi e sostanze psicoattive, De Cristoforo chiarisce:

“Il nostro centro è uno spazio di crescita della speranza,

un luogo dove le emozioni incontrano l’individuo e utilizzano il linguaggio della vita, delle paure espresse, della ‘rabbia di esistere’ contrastando ogni forma di nichilismo. Nella programmazione delle attività, il consultorio familiare e di aggregazione giovanile offre ai ragazzi la possibilità di sperimentare, in un luogo protetto, con l’ausilio e l’accompagnamento di professionisti, la propria interiorità attraverso laboratori creativi, percorsi di conoscenza di sé, accompagnamento e supporto allo studio, in un contesto organizzato, con risorse psicologiche, pedagogiche e strutturali che possono essere liberamente fruite dagli adolescenti con lo scopo di creare relazioni significative”.

(Foto: Fict)

Come essere malati di Aids e continuare a mantenere uno sguardo di speranza verso il futuro? “La speranza è l’ultima a morire – afferma Sonia, ospite di Casa Lamar-Centro trentino di solidarietà -, dobbiamo vivere e sperare fino all’ultimo. Il Natale viene vissuto serenamente e la serenità è stare con gli altri in comunità”. Massimiliano ammette: “Sono le relazioni a ridarmi fiducia e speranza. E quando ricevo gesti di amore, di affetto, mi sento di nuovo una persona. Il Natale vissuto con gli altri in comunità è già una bellissima cosa, anziché passarlo in carcere. Per me questo è già un grande dono”. Malik dice di non aver paura della malattia da quando si trova a Casa Lamar: “La speranza è convivere con la malattia e continuare la vita. Non voglio avere paura perché sono malato. Sono felice di vivere in una comunità perché ora ho quello che prima, vivendo in strada, non avevo”.

(Foto: Fict)

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