Il 14 novembre è la quinta Giornata mondiale dei poveri, una realtà che spesso non vogliamo guardare. “Nella basilica di San Francesco ad Assisi – dice l’accademica e religiosa Alessandra Smerilli, introducendo la Fratelli tutti – si possono ammirare affrescate da Giotto 28 scene che narrano la vita del santo. In realtà, le scene avrebbero dovuto essere 29, ma all’epoca i ricchi e i notabili della città, che finanziavano l’opera, non vollero pagare la realizzazione della ventinovesima scena, quella del bacio e dell’abbraccio al lebbroso a Rivotorto… I signori della città non volevano che si sapesse della presenza dei lebbrosi ad Assisi”. Papa Francesco nel messaggio alla Settimana Sociale di Taranto, nel primo dei tre cartelli “attenti agli attraversamenti”, ha detto: “Troppe persone incrociano le nostre esistenze mentre si trovano nella disperazione”. E ha aggiunto: “Non possiamo rimanere nell’indifferenza”.A partire da una dimensione pragmatica (“La realtà è più importante dell’idea” EG. 231-233), un primo riferimento è per le periferie sociali ed esistenziali. Lì si trovano, infatti, le situazioni problematiche dell’esclusione, delle povertà, degli scartati ed esclusi (EG 53). È un primo passo della Chiesa in uscita; un invito a uscire dalle sacrestie (divieto di sosta), ad entrare nei quartieri, nelle strade, quelle abitate da Dio perché abitate dalle persone, quelle vie percorse dai migranti, dagli esclusi, dagli scartati (attenzione agli attraversamenti). È necessario un cambiamento (obbligo di svolta) di strategie e di modalità di presenza. Occorre, soprattutto, ricordare che la Chiesa ha il dovere di annunciare il Vangelo, non se stessa. Lo può fare solo uscendo da sé. L’obbligo di svolta può realizzarsi se si guarda con attenzione al fine della Chiesa che non è la Chiesa stessa. Non siamo chiamati semplicemente a riorganizzarci, a guardarci, a creare strutture efficaci. Dobbiamo tornare alla mission di evangelizzare, che è “la grazia e la vocazione propria della Chiesa” e consiste nell’annuncio di liberazione da tutto ciò che opprime l’uomo. È liberazione dal peccato, è la “gioia di conoscere Dio e di essere conosciuti da lui, di vederlo, di abbandonarsi a lui”. Annunciare la gioia del Vangelo ha poco a che fare con le durezze moralistiche con cui spesso abbiamo predicato. È annuncio dell’amore del Padre, è annuncio della fraternità universale, è accoglienza, soccorso, integrazione dei poveri che sono fratelli. L’indifferenza è il vero peccato, è l’atteggiamento del sacerdote e del levita nella parabola del “buon samaritano”.
(*) direttore “Il Momento” (Forlì)

