Un G20 per ridurre le distanze che il Covid ha ampliato. I “Grandi” possono fare la differenza

Fin dove può realisticamente arrivare l'incontro fisico (e in parte a distanza come per Vladimir Putin e Xi Jinping) dei vertici dei Paesi più influenti? La pandemia ha aggiunto complessità sanitarie ed economiche, il surriscaldamento del pianeta è un'urgenza assoluta e chiede di accelerare tutte le transizioni possibili

(Foto ANSA/SIR)

È sempre importante che i potenti del mondo si incontrino. Perché del G20, come quello di questi giorni a Roma, non rimanga la solita foto di rito (o i “bla bla bla”) occorreranno però impegni che sono ben più degli auspici. La pandemia ha aggiunto complessità sanitarie ed economiche, il surriscaldamento del pianeta è un’urgenza assoluta e chiede di accelerare tutte le transizioni possibili.

Fin dove può realisticamente arrivare l’incontro fisico (e in parte a distanza come per Vladimir Putin e Xi Jinping) dei vertici dei Paesi più influenti? Gli stessi che si minacciano qua e là, come accade in queste ore fra Cina e Usa sull’autonomia di Taiwan?

Qualcosa si può intuire cercando i documenti conclusivi dei G20 settoriali che si sono susseguiti in Italia nei mesi scorsi. Li trovate su www.g20.org e leggerete le buone intenzioni su commercio, sanità, parità e valorizzazione di genere, cultura, economia, accoglienza umanitaria, pacificazione, digitalizzazione, energia e tanto altro.

Qualcosa si dedurre dalle parole di Mario Draghi, premier italiano e coordinatore dei lavori: “Discuteremo di come ridurre le emissioni di gas che alterano il clima per centrare gli obiettivi che ci siamo prefissi. L’Europa si è mossa con grande determinazione. Tuttavia la crisi climatica può essere affrontata solo se tutti i Paesi del G20 decideranno di agire in modo simultaneo, coordinato e coraggioso”.Il riferimento è al rischio che Paesi più virtuosi perdano quote di mercato a vantaggio di aree inquinanti che continuerebbero a produrre in modo nocivo, con danni per i lavoratori e le popolazioni vicine. Non è un affare di commerci.

Forse lo è sempre stato, ma mai come in questo momento l’economia è architrave di tutto: chi ha risorse può comprare vaccini, può sviluppare la digitalizzazione e uscire dal post Covid. Può ampliare quantità e qualità dei commerci, sostenere la ricerca, produrre la migliore energia. Per questo – dicono i Paesi forti – occorre una potente ripresa economica. Una ripresa squilibrata – è il rischio di questi mesi – aumenta le distanze, aggiunge povertà a povertà. Le popolazioni in affanno cercheranno altrove lavoro ma anche vaccini, acqua, scuole. E dove non riusciranno saranno attratte da modelli antidemocratici e ipernazionalisti. L’idea di una parte del mondo trainante e un’altra parte (la più affamata) debole e in ritardo, sta creando gravi danni e atteggiamenti contrari al buon senso del “migliorarci tutti o perderemo tutti”.

I Grandi della Terra, definizione molto impegnativa se ci riflette bene, hanno la possibilità di ridurre le differenze. Affrontando il tema del debito nei Paesi poveri. Guardando indietro. Non c’è un mondo sanificato dal Covid se solo due continenti riusciranno a sconfiggere la pandemia. Lo stesso vale per la pace, per la scuola, per la democrazia, per i diritti individuali e collettivi.

Tutto si tiene.

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