Società. Pombeni: “L’opinione pubblica sta mutando atteggiamento nei confronti della politica. Il consenso si coagula sui risultati concreti”

Che l'esperienza di un governo sui generis come quello guidato da Draghi avrebbe dato una scossa al sistema dei partiti era un esito largamente prevedibile. Meno prevedibile, forse, era la profondità di questo sommovimento e la sua trasversalità. “Il punto è che sta cambiando il mondo e il vecchio modo di fare politica, legato alle ideologie e alle oscillazioni dei sondaggi, non si sa fino a quando potrà reggere”, spiega al Sir Paolo Pombeni. “La novità – sottolinea – è che l'opinione pubblica sta mutando atteggiamento nei confronti della politica. Quando la percezione è che ci siano in campo soltanto chiacchiere, allora si finisce per scegliere chi ci sta più simpatico o più vicino ideologicamente. Ma quando si cominciano a vedere dei risultati concreti, allora è su questi che il consenso tende a coagularsi”

Che l’esperienza di un governo sui generis come quello guidato da Draghi avrebbe dato una scossa al sistema dei partiti era un esito largamente prevedibile. Meno prevedibile, forse, era la profondità di questo sommovimento e la sua trasversalità. “Il punto è che sta cambiando il mondo e il vecchio modo di fare politica, legato alle ideologie e alle oscillazioni dei sondaggi, non si sa fino a quando potrà reggere”, spiega al Sir Paolo Pombeni, uno dei più esperti ed acuti analisti italiani. “La novità  è che l’opinione pubblica sta mutando atteggiamento nei confronti della politica – sottolinea Pombeni –. Quando la percezione è che ci siano in campo soltanto chiacchiere, allora si finisce per scegliere chi ci sta più simpatico o più vicino ideologicamente. Ma

quando si cominciano a vedere dei risultati concreti, allora è su questi che il consenso tende a coagularsi”.

Ci sono forti tensioni anche nel centro-destra che pure ha una tradizione consolidata di alleanze e al momento è premiato dalla rilevazioni sulle intenzioni di voto. È un problema di competizione interna?
Non solo. I tre partiti maggiori che compongono lo schieramento hanno sulle spalle pesanti zavorre. Berlusconi paga le conseguenze di anni di follie personali e di un partito tutto schiacciato sul suo leader. Anche Salvini, a suo modo, ha sulle spalle una stagione di follie, quella del Papeete, come si dice nel linguaggio giornalistico. Meloni, invece, ha un partito che non riesce a troncare una filiera che tende a riportarlo alle sue nostalgie. In queste condizioni diventa difficile sintonizzarsi su quella che sta emergendo come la novità più rilevante dello scenario: l’Europa ha dimostrato di esserci concretamente e noi siamo sempre più legati ad essa per forza di cose. Questo vale anche per il centro-sinistra, beninteso. Di sicuro è una dinamica di cui si avvantaggia Draghi che appare sempre più come la garanzia del nostro Paese a livello internazionale.

Veniamo al centro-sinistra, dunque. Dei due principali partiti, uno si è ritrovato a dover cambiare segretario, l’altro sembra che stia cambiando anche la sua natura.
Come potenziale schieramento il centro-sinistra ha un problema di fondo che non può essere eluso: la somma dei suoi principali partiti, Pd e M5S, non è sufficiente per poter competere con il centro-destra. Ha quindi bisogno di allargarsi in altre direzioni. Quali? Verso il recupero dell’astensionismo? Verso i partitini centristi? In ogni caso per allargarsi avrebbe bisogno di un’identità ed è proprio quella che non riesce ad avere. Il M5S non si capisce ancora che cosa sia destinato a diventare e comunque non può pensare di fondare il suo futuro solo sul residuo consenso di Conte. Il Pd paga il prezzo di un’estrema debolezza di analisi politica che sembra lo stia riportando verso la tentazione del ‘partito radicale di massa’. I risultati così modesti delle primarie sono una spia di questa incertezza e di questo ripiegamento.

La scelta di candidati a sindaco nelle grandi città si è rivelata un problema per tutti. Come mai?
Vede, innanzitutto quelle dei sindaci sono diventate poltrone roventi per i problemi da affrontare e il carico di responsabilità. E poi nei centri più grandi è diventato difficilissimo essere eletti. I partiti, divisi tra mille correnti e ‘cacicchi’ locali, non sono più in grado di supportare adeguatamente i loro candidati e sono pochi quelli che hanno risorse personali sufficienti e intendono spenderle in un’impresa a così alto rischio. Nei centri più piccoli, a parte il fatto che occorrono meno risorse, è ancora possibile una riconoscibilità diretta del candidato e quindi le dinamiche sono più gestibili. Più i Comuni diventano grandi, più diventa arduo riuscire a essere eletti.

Sullo sfondo, ma neanche troppo sullo sfondo, si intravedono già le manovre per il Quirinale…
Al di là di quanto appare, il tema è molto presente nelle strategie dei partiti. Non è questo che mi meraviglia, quanto il fatto che non ci si renda conto della delicatezza della scelta che andrà compiuta all’inizio del prossimo anno. L’idea di prolungare per la seconda volta il mandato del presidente uscente mi sembra molto negativa, ha ragione Mattarella. D’altronde non vedo nel dibattito pubblico una riflessione adeguata sull’identikit di una figura che deve rappresentare tutta la nazione ed essere il punto di riferimento di tutti gli italiani.

E Draghi?
Draghi avrebbe certamente le carte in regola, ma si obietta che non è possibile lasciare a metà il percorso avviato dal governo con il Pnrr e tutto il resto. È un discorso sensato, bisogna pensarci bene. Comunque mi lasci dire che al Quirinale o a Palazzo Chigi questo Paese dev’essere in grado di esprimere personalità all’altezza del compito. Se non ci fossero alternative, sarebbe davvero un brutto segnale.

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