Se un governo non fa rumore

Il silenzio operoso impresso da Mario Draghi al suo governo non può essere sminuito dal rumore che viene dai partiti, specialmente da quelli che appoggiano il suo esecutivo. Questo modo di operare fa parte dello stile di un uomo, grazie al quale Draghi ha conquistato la fiducia e la stima di vasti ambiti politici ed economici in Italia, in Europa e in altre parti del mondo. Uno stile deciso, da non scomporsi, ad esempio, neppure di fronte al rumore provocato dalle dimissioni, ritenute in questo momento inopportune, di Zingaretti da segretario del PD. Uno stile sobrio che contrasta, anche, con le continue esternazioni e iniziative di alcuni politici ritenuti invadenti e inopportuni sull’attività di governo. Draghi, imperturbabile, va avanti per la sua strada e risponde con i fatti come, peraltro, aveva annunciato. Di fronte all’emergenza dei vaccini, in una recente riunione di capi di governo dell’Unione europea, aveva dichiarato che “le aziende che non rispettano gli impegni non dovrebbero essere scusate”. Senza indire conferenze stampa, o ricorrere ad annunci clamorosi, alle dichiarazioni ha fatto seguire, con coerenza, i fatti.

(Foto: Presidenza del Consiglio dei ministri)

Il silenzio operoso impresso da Mario Draghi al suo governo non può essere sminuito dal rumore che viene dai partiti, specialmente da quelli che appoggiano il suo esecutivo. Questo modo di operare fa parte dello stile di un uomo, grazie al quale Draghi ha conquistato la fiducia e la stima di vasti ambiti politici ed economici in Italia, in Europa e in altre parti del mondo. Uno stile deciso, da non scomporsi, ad esempio, neppure di fronte al rumore provocato dalle dimissioni, ritenute in questo momento inopportune, di Zingaretti da segretario del PD. Uno stile sobrio che contrasta, anche, con le continue esternazioni e iniziative di alcuni politici ritenuti invadenti e inopportuni sull’attività di governo. Draghi, imperturbabile, va avanti per la sua strada e risponde con i fatti come, peraltro, aveva annunciato. Di fronte all’emergenza dei vaccini, in una recente riunione di capi di governo dell’Unione europea, aveva dichiarato che “le aziende che non rispettano gli impegni non dovrebbero essere scusate”. Senza indire conferenze stampa, o ricorrere ad annunci clamorosi, alle dichiarazioni ha fatto seguire, con coerenza, i fatti. Nei giorni scorsi ha bloccato l’esportazione di 250 mila vaccini di AstraZeneca destinati all’Australia, confezionati nello stabilimento italiano di Anagni. Il tutto, è inutile dirlo, nel rispetto degli accordi comunitari e con l’approvazione degli altri leader europei. Draghi è consapevole di avere assunto due impegni primari – la difesa della salute e i fondi europei del recovery plan – e, in tale ottica, si sta muovendo. A iniziare dall’ambito più delicato, la lotta al virus, ha prorogato, senza tentennamenti, le misure restrittive nelle aree a rischio e ha provveduto, contemporaneamente, alla riorganizzazione dei servizi centrali considerati strategici nella lotta alla pandemia. Incurante delle reazioni dei partiti che, peraltro, non si sono fatte attendere, al posto di Arcuri, ha nominato, come commissario straordinario all’emergenza, il generale Figliuolo; alla Protezione civile, ha incaricato Curcio al posto di Borrelli e Gabrielli ai servizi segreti e alla sicurezza. Anche qui nessuna esibizione in televisione o sui social, lasciando ai ministri competenti il compito di illustrare le misure prese dal suo governo. In un mese di attività l’unica apparizione, peraltro molto attesa, è coincisa con la festa della donna, nel corso della quale ha fornito, anche, informazioni rassicuranti sulla lotta alla pandemia. È chiaro che ci troviamo di fronte a una figura che non solo è estranea alle logiche dei partiti, ma che tale vuole apparire. D’altra parte, quale clamore e quale propaganda politica si potrebbe fare di fronte alla tragedia che stiamo vivendo? I contagi da coronavirus e sue varianti crescono; i decessi hanno superato la soglia centomila; gli ospedali tornano a riempirsi; gli studenti lasciano le aule per passare alla didattica a distanza; le famiglie sono chiamate a nuove difficoltà; le crisi aziendali si moltiplicano; i piccoli imprenditori chiudono i battenti e l’Istat comunica che i poveri in un anno sono aumentati di un milione, raggiungendo la cifra di 5 milioni e mezzo di persone. Di fronte a questi drammi e a tanti altri, chi può mettersi di traverso e ostacolare l’azione del governo? I travagli dei partiti (PD e 5S); l’ossessione per le elezioni (rinviate in autunno le amministrative) e la protervia di chi è convinto di avere già la vittoria in tasca (i partiti di destra), sono i segni di una politica malata che non possono farsi ricadere sul Paese. Si impone necessariamente un periodo di tregua per tentare quella ricostruzione da ogni parte invocata. L’alto indice di gradimento che sta accompagnando i primi passi del governo Draghi è il segno più evidente del bisogno di governabilità reclamato dai cittadini. La ripresa dell’Italia, ma anche la possibilità di un riscatto della classe politica, dipenderanno dalla capacità di ciascuno di fare un passo indietro nell’esclusivo interesse del Paese.

(*) direttore “La Vita Diocesana” (Noto)

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