RomaFF15: “Herself” denuncia la condizione di donne vittime di violenze domestiche. A Roma anche “The Reason I Jump”, poetico film sull’autismo

“Herself. La vita che verrà” di Phyllida Lloyd, scritto e interpretato dall’attrice Clare Dunne, film che pedina il coraggio di una madre di allontanarsi da una relazione violenta in cerca di una nuova casa, di un futuro da riprogettare. All’Auditorium Parco della Musica è anche il giorno dell’acclamato “The Reason I Jump” di Jerry Rothwell, importante ed emozionate documento sulla condizione dell’autismo partendo dall’opera di Naoki Higashida

Due potenti racconti inglesi, venerdì 23 ottobre, alla Festa del Cinema di Roma. Il primo è “Herself. La vita che verrà” di Phyllida Lloyd, scritto e interpretato dall’attrice Clare Dunne, film che pedina il coraggio di una madre di allontanarsi da una relazione violenta in cerca di una nuova casa, di un futuro da riprogettare. All’Auditorium Parco della Musica è anche il giorno dell’acclamato “The Reason I Jump” di Jerry Rothwell, importante ed emozionate documento sulla condizione dell’autismo partendo dall’opera di Naoki Higashida. Il punto sul penultimo giorno di Festival con la Commissione nazionale valutazione film Cei e l’agenzia Sir.

“Herself. La vita che verrà”

C’è molto del cinema di Ken Loach nel nuovo film della regista britannica Phyllida Lloyd, “Herself. La vita che verrà”. L’autrice della commedia musicale “Mamma Mia!” (2008) e del biopic “The Iron Lady” (2011) cambia passo narrativo e si confronta con un bagno di realtà, una storia che pedina il reale senza renderlo però bruciante. In “Herself” la Lloyd esplora infatti il dramma delle violenze domestiche ai danni delle donne, mettendo in scena un percorso di attraversamento dal buio alla luce, dal dolore al riscatto. Muovendosi sul soggetto dell’attrice irlandese Clare Dunne, “Herself” ci racconta la storia di Sandra (Dunne), una trentenne che vive con le sue bambine e il marito Gary (Ian Lloyd Anderson). Dopo l’ennesima aggressione domestica, la donna riesce a denunciare il marito e a trovare una sistemazione provvisoria per lei e le figlie. Sandra fa molti lavori pur di garantire il prima possibile alle sue bambine un ritorno alla normalità. Nonostante i sacrifici, però, la coperta è sempre corta e i soldi non bastano per un affitto dignitoso. Sandra si mette allora in testa di costruirsi una casa da sola, seguendo il progetto di un architetto di abitazioni a basso costo; e grazie all’aiuto della sessantenne Peggy (Harriet Walter), che le mette a disposizione una porzione del terreno della sua casa, Sandra si lancia in questa impresa…
Alla Festa del Cinema di Roma la proiezione di “Herself” è condivisa insieme alla sezione autonoma e parallela Alice nella Città, proprio perché oltre alla carica di denuncia nel film si ritrova un respiro educational, uno sguardo di crescente speranza. La regista Phyllida Lloyd parte con il racconto dai toni asciutti, molto vicini appunto al cinema di Ken Loach (“Io, Daniel Blake”) come pure dei fratelli Dardenne (“Due giorni, una notte”), cantori per eccellenza della condizione di affanno degli ultimi, tra lavoro che manca e ostacoli disumani posti dalla burocrazia. Vediamo infatti entrare in scena la figura di Sandra come una giovane madre, percossa a ripetizione dal marito, che prova a uscire da sola dalla palude della disperazione, ma il sistema sociale accanto a lei appare insensibile alle non poche difficoltà che la donna vive. Sandra di fatto è sola. Man mano che la narrazione procede, i toni perdono quella ruvidezza inziale e il racconto svolta verso un dramma teso al riscatto personale-familiare. Insomma, siamo più dalle parti del cinema realtà dai toni poetici alla Uberto Pasolini (“Still Life”, “Nowhere Special”). Sandra, infatti, si getta nel progetto della costruzione di una casa e inaspettatamente accanto a lei intervengono persone diverse, ugualmente in affanno, che si mettono in gioco con un agire solidale. La donna mette così insieme una piccola comunità che non solo costruisce una casa, ma si rimette in piedi nella vita. Come sottolinea Massimo Giraldi, presidente della Commissione nazionale valutazione film Cei: “‘Herself’ è, fin dal titolo, un film rinchiuso in se stesso, nella drammatica realtà di ciò che accade. Opera che prova, ancora una volta, a dire basta alla violenza sulle donne, che purtroppo abita ancora tante parti del mondo: donne, mogli, madri e, di fronte, un ‘lui’ torbido, cattivo, pericoloso. La società intorno a Sandra è debole, il clima tende verso i sacrifici alla Ken Loach, il finale è positivo, ma non consolatorio. La regista di ‘Mamma Mia!’ dirige con bella incisività e convincente tensione una vicenda dura, triste. Forse la parola fine non è ancora stata detta”. Dal punto di vista pastorale il film “Herself” è consigliabile, problematico e adatto certamente per dibattitti.

“The Reason I Jump”

Regala non poche emozioni anche il film “The Reason I Jump”, del documentarista britannico Jerry Rothwell (suo è “How to Change the World” del 2015). Rothwell riesce nell’impresa di dare immagine all’omonimo libro-testimonianza del giapponese Naoki Higashida, che ha aperto una breccia sul mondo dell’autismo, sulla prospettiva di osservazione: l’autore giapponese, infatti, ha raccontato la propria condizione di persona con disabilità, dando risposte alle domande più diffuse e comuni sull’autismo. Il documentarista Rothwell è partito dunque dal testo e ha allargato lo sguardo in chiave globale, portando storie di giovani con disabilità e delle loro famiglie dall’Inghilterra all’India, dagli Stati Uniti alla Sierra Leone. Un’opera appassionate, coinvolgente, giocata tra realismo e poesia, che aiuta a invertire il punto di osservazione-narrazione sull’autismo. Uno sguardo più ravvicinato, introspettivo, e dunque inaspettatamente più ricco e luminoso. Come puntualizza Eliana Ariola, membro della Commissione nazionale valutazione film CEI: “Il bel docufilm, e soprattutto il libro di Naoki Higashida, rappresenta senza dubbio un approccio del tutto nuovo all’autismo. Quasi una ‘Stele di Rosetta’ che ci permette di ‘tradurre’ un linguaggio finora pressoché sconosciuto, perché completamente diverso dal nostro. ‘The Reason I Jump’ ci offre la possibilità di comunicare veramente con le persone con autismo, senza più l’idea di potere o addirittura di dover tradurre noi i loro pensieri, sentimenti, desideri che per tanto tempo li si è ritenuti incapaci di provare. La strada da compiere sull’argomento è ancora lunga, ma il lavoro di Jerry Rothwell è di certo un ottimo punto di partenza e, o meglio, un punto di non ritorno”. Dal punto di vista pastorale il film “The Reason I Jump” è da valutare come consigliabile, poetico e adatto per dibattiti.

 

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