Un territorio di cui andare orgogliosi

Ci sarà tempo e modo per ragionare sull’effettiva utilità di misure draconiane e sugli effetti presso l’opinione pubblica e sull’economia delle modalità con le quali è stata gestita la comunicazione istituzionale. Non è però questo il momento. Questi primi dieci giorni di emergenza, in realtà, ci hanno consegnato l’immagine di un territorio di cui andare orgogliosi.

Da quando, nella notte fra giovedì 20 e venerdì 21 febbraio, è stata resa pubblica la notizia di un primo contagiato a Codogno, la vita nel nostro territorio ha subito uno scossone. Tutto è cambiato e si è passati dalla fase dell’iniziale smarrimento a quella della preoccupazione. I primi provvedimenti adottati da Regione e Governo  hanno avuto un impatto significativo sulle persone: la definizione della zona rossa dalla quale non si può entrare o uscire senza autorizzazione, la decisione di Roma di inviare l’esercito, il blocco delle attività produttive e scolastiche in dieci comuni. Anche quanti vivono al di fuori della zona rossa hanno toccato con mano il senso di precarietà derivante da limitazioni e divieti: anche in questo caso chiusura delle scuole, chiusura dei bar dopo le 18 (per fortuna poi revocata), blocco delle attività culturali e sportive, finanche l’impossibilità di partecipare alla  Messa. In una parola, la vita quotidiana di migliaia di persone  stravolta. Il Lodigiano, 230mila persone conosciute per essere miti e laboriose, si è ritrovato  al centro del mondo.
Ci sarà tempo e modo per ragionare sull’effettiva utilità di misure draconiane e sugli effetti presso l’opinione pubblica e sull’economia delle modalità con le quali è stata gestita la comunicazione istituzionale. Non è però questo il momento. Questi primi dieci giorni di emergenza, in realtà, ci hanno consegnato l’immagine di un territorio di cui andare orgogliosi.
Abbiamo visto all’opera medici e infermieri che, senza lamentarsi, si sono sobbarcati un impegno massacrante in strutture ospedaliere prese d’assalto. A Codogno c’è chi ha fatto tre turni senza staccare. C’è la storia di un medico che sarebbe dovuto andare in pensione e ha scelto di restare in prima linea. C’è la storia di un altro medico, il primario del pronto soccorso di Lodi, che è apprezzato a tal punto che i suoi colleghi hanno chiamato in redazione per invitarci a parlare di lui. Ci sono le storie di tanti eroi invisibili (come li ha chiamati una nostra lettrice): medici ospedalieri, infermieri, medici di famiglia, in prima linea, al fronte, senza dire una parola.
L’emergenza ci ha raccontato poi le storie dei tanti, tantissimi volontari che stanno dando l’anima. Mercoledì uno storico milite della Croce bianca di Sant’Angelo mi confidava che non sapeva quanto avrebbero potuto reggere i suoi uomini: «È tutta gente che la notte sale in ambulanza e si fa centinaia di chilometri e il giorno dopo deve presentarsi al lavoro, e va avanti così da giorni». E sul «Cittadino» di venerdì abbiamo raccontato  dei volontari della Croce rossa di Lodi e della Casalese. E ancora. Come non parlare dei sindaci lodigiani, di quelli della zona rossa, che si sono trovati a fronteggiare una situazione più grande di loro. Si dice  che nei nostri paesi i primi cittadini sono il parafulmine per ogni problema. Con l’emergenza coronavirus è stato proprio così: in poche ore, solo per fare due esempi, si sono trovati a dover dare ascolto agli imprenditori preoccupati e agli anziani soli che hanno necessità di assistenza, di un pasto caldo, di una parola di confronto. E hanno dovuto riorganizzare i loro Comuni e talvolta fare la voce grossa per non essere trattati come appestati.
E poi c’è la centrale operativa della prefettura, allestita in fretta e furia nel centro di Lodi, che sta lavorando h24 da venerdì e dove i pochi funzionari in forza a una città di 45mila abitanti stanno rispondendo a migliaia di domande, richieste di informazioni, di deroghe per attività economiche, finanche per il trasporto delle salme. Ci sono giovani servitori dello Stato che stanno dormendo tre ore a notte e che si muovono costantemente con due telefoni cellulari. E basta vederli lavorare – come è  capitato in questi giorni a chi scrive – per capire che sono il futuro della nostra Italia.
Infine ci sono i cittadini, i lodigiani, che hanno reagito a quanto successo in maniera eccezionale. Preoccupati e disorientati, ma anche composti nelle reazioni, misurati secondo lo stile e la cifra di un territorio che non si è mai caratterizzato per gli eccessi e le reazioni violente. Il Lodigiano è stato un esempio per il resto del Paese.
Da direttore mi sia concesso un ultimo grazie, pubblico, ai miei giornalisti che dal 20 febbraio non hanno  staccato un momento. A quelli che hanno lavorato da Lodi e a quelli che sono rinchiusi nella zona rossa e aggiornano l’Italia su quanto sta avvenendo. Ne vado fiero.
Sono passati dieci giorni dal primo caso di contagio. Troppo pochi per  avere certezze, anche se la voglia di tornare alla normalità, di riaprire scuole e fabbriche si tocca con mano nei nostri centri e la gente sta iniziando a riappropriarsi dei suoi spazi. Il nostro territorio è ancora in mezzo al guado, ma ne usciremo, tutti insieme. Forza e coraggio Lodigiano!

(*) direttore “Il Cittadino” (Lodi)

 

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