“La Chiesa è sempre accanto a chi migra”. Pur nelle diversità delle situazioni e dei contesti in Europa, la sua missione prioritaria e comune è “tutelare la dignità umana, aiutare le persone a trovare canali sicuri e legali per l’immigrazione e soprattutto aiutarle nel grande lavoro dell’integrazione, che è la chiave di una buona riuscita degli spostamenti”. E’ don Luis Okulik, Segretario della Commissione Pastorale sociale del Ccee, a delineare al Sir le conclusioni di un incontro che si è concluso oggi, giovedì 11 dicembre, a Catania, della Sezione per le Migrazioni del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (Ccee) che ha riunito per tre giorni delegati delle conferenze episcopali e studiosi per analizzare le sfide della mobilità umana e rafforzare la tutela delle persone più vulnerabili. Voluto a Catania dall’arcivescovo mons. Luigi Renna per offrire ai partecipanti un punto di osservazione diretto sulle dinamiche migratorie attuali, l’incontro si è centrato sul tema: “Giubileo e migrazioni: camminare insieme nella speranza”.
Don Okulik, quali criticità sono emerse in questi giorni di scambio e discussione tra delegati dei diversi paesi europei?
Le criticità sono molto diverse, poiché ogni Paese europeo dispone di leggi e normative differenti per la gestione dei flussi migratori. Tuttavia, esistono alcuni denominatori comuni, come la preoccupazione delle commissioni per l’educazione e il rispetto della legalità. Su questo fronte si lavora molto: si cerca di assistere i migranti con modalità diverse, pur sapendo che la complessità delle normative attuali e i continui cambiamenti legislativi rendono talvolta problematiche alcune questioni di legalità. Per questo l’attenzione è sempre rivolta a garantire la sicurezza, perché assicurando la legalità si tutela anche la sicurezza dei flussi migratori. È una delle principali preoccupazioni, poiché rappresenta il modo più concreto di difendere e tutelare la dignità delle persone.
Nel suo intervento introduttivo all’incontro, il sociologo Carlo Colloca ha richiamato l’attenzione sulle cosiddette aree iperprotette come i Cas, i Cara, le enclave spagnole di Ceuta e Melilla in Marocco o la “giungla” di Calais. Erigere muri in nome della sicurezza garantisce davvero protezione all’Europa?
Colloca ha fatto riferimento a queste strutture ricordando la sua partecipazione a una commissione d’inchiesta del Parlamento italiano e la collaborazione a ricerche per la Commissione Europea. In effetti il modello cosiddetto “militarizzato”, diffuso alcuni anni fa, non ha sempre garantito né la sicurezza dei Paesi né la tutela della dignità delle persone. Da qui la sua insistenza sulla necessità di trovare percorsi alternativi. Uno di questi che è ben conosciuto nella Chiesa Cattolica e non solo, è l’accompagnamento dei migranti attraverso canali sicuri, come la “sponsorship” delle migrazioni promossa da Sant’Egidio e da altri organismi cattolici e non cattolici che hanno adottato questo modello. Negli anni sono stati sperimentati approcci diversi, alcuni più rigidi, altri più aperti. L’esperienza insegna che non esiste un modello unico: ogni Paese deve individuare la soluzione più adatta.
Ciò che conta davvero è perseguire il benessere delle persone, sia dei migranti sia dei cittadini, evitando di concentrarsi esclusivamente su misure restrittive.
In questi giorni lei ha incontrato persone che vivono accanto ai migranti e li sostengono concretamente. Quando si parla di migranti, spesso si parla solo di numeri e di problemi, ma chi sono davvero le persone che raggiungono le nostre coste?
La loro provenienza è molto eterogenea: differiscono per età, per capacità di iniziare un lavoro o intraprendere un percorso di formazione. Si tratta quindi di categorie molto diverse. Negli ultimi anni prevalgono i migranti provenienti da Paesi in conflitto, da realtà segnate da collassi sociali, crisi economiche o disastri naturali. Tutti fattori che spingono alla migrazione e che lasciano ferite profonde nelle persone che arrivano in Europa. Il problema è che, anche quando non vi è una motivazione così drammatica alla partenza, il viaggio verso l’Europa rimane lungo, costoso e pericoloso, poiché mancano canali sicuri e garantiti. Questo percorso espone i migranti a gravi rischi per la vita, oltre a violenze e abusi. Ci troviamo quindi di fronte a una grande varietà di storie umane. Di fronte a questa complessità, le Commissioni, la Chiesa Cattolica e chi lavora con i migranti cercano – come ricordava spesso Papa Francesco – di partire dalla persona concreta.
Non si tratta di catalogare o individuare elementi comuni, ma di stare accanto a chi soffre e costruire, a partire dall’incontro personale, un percorso di aiuto che possa sostenere la persona e la sua famiglia.
Quale Chiesa emerge oggi in Europa?
Quella che si delinea è una Chiesa ricca di esperienza, segnata da apertura verso l’altro e disponibilità ad aiutare chi è nel bisogno. Allo stesso tempo, però, si avvertono segni di stanchezza e la diminuzione delle risorse, un tema molto attuale che incide sulle attività di sostegno. Nonostante queste difficoltà, prevale il desiderio – in linea con l’invito del Sinodo – di continuare a camminare insieme con speranza. Non si tratta di pretendere di risolvere ogni problema o di eliminare tutte le difficoltà o le tensioni che possono sorgere anche nelle comunità ecclesiali, ma di riconoscere che queste fanno parte del cammino.

