Guerra in Ucraina. Bertolotti (Start Insight): “Non basta un vertice per fare la storia”

Ieri il presidente Usa, Donald Trump, ha ricevuto alla Casa Bianca il presidente ucraino Volodymyr Zelensky insieme a una delegazione di leader europei. Sul tavolo, le garanzie di sicurezza per Kiev e l’eventualità di un incontro trilaterale Trump-Putin-Zelensky. Restano diversi nodi cruciali: la natura concreta delle garanzie, l’impegno russo a un cessate il fuoco e la questione delle concessioni territoriali. Sul vertice, il Sir ha chiesto un commento a Claudio Bertolotti, esperto dell’Ispi e direttore di StartInsight.

(Foto Commissione europea)

Ieri il presidente Usa, Donald Trump, ha ricevuto alla Casa Bianca il presidente ucraino Volodymyr Zelensky insieme a una delegazione di leader europei, Macron, Meloni, Merz, Starmer, Stubb, von der Leyen e il segretario generale della Nato, Mark Rutte. Il vertice segue quello di Anchorage tra Trump e Putin, dove si sono ipotizzate aperture diplomatiche da parte russa. Sul tavolo, le garanzie di sicurezza per Kiev e l’eventualità di un incontro trilaterale Trump-Putin-Zelensky. Restano diversi nodi cruciali: la natura concreta delle garanzie, l’impegno russo a un cessate il fuoco e la questione delle concessioni territoriali. Sul vertice, il Sir ha chiesto un commento a Claudio Bertolotti, analista dell’Ispi e direttore del think tank “StartInsight” (Start Insight | Strategic Analyst and Research Team).

(Foto Commissione europea)

Qual è il significato politico del vertice di Washington?
In primo luogo, ci si sta avvicinando a quella che appare la soluzione più dolorosa per l’Ucraina: una cessione territoriale corrispondente alle aree già conquistate dalla Russia. È l’elemento cardine di ogni possibile negoziato, indipendentemente dalle dichiarazioni dei leader europei, come quelle di Merz che ha ribadito il principio di nessuna cessione. L’incontro è importante perché ha mostrato la volontà europea di presentarsi come blocco unito, a sostegno dell’integrità territoriale e politica dell’Ucraina. Ma dalle parole ai fatti la distanza resta ampia. Zelensky ha accettato di destinare gli aiuti economici all’acquisto di armamenti rivolgendosi ai produttori statunitensi, rafforzando così l’industria militare americana e offrendo a Trump un successo politico. A farne le spese è Kiev, che si vede costretta a rinunciare a parte dei propri territori. L’Europa, del resto, non ha alternative se non accettare questo scenario, così come già avvenuto con l’annessione della Crimea nel 2014, di fronte alla quale la comunità internazionale non reagì in maniera efficace. Il timore, espresso da Macron, è che la minaccia russa possa presto spingersi direttamente verso l’Europa.

Putin non sembra intenzionato ad accettare un cessate il fuoco come vorrebbero i leader europei che lo ritengono un prerequisito indispensabile per qualsiasi negoziato credibile. Perché?
La Russia alterna fasi di stasi a momenti di forte pressione militare. Anche in questi giorni non sono mancati attacchi significativi. Mosca punta a mantenere un vantaggio tattico perché, quando si arriverà a un eventuale cessazione delle ostilità quello diventerà il nuovo confine. È altamente improbabile che l’Ucraina riesca a riconquistare territori già occupati. La Russia gioca su questa asimmetria per consolidare le proprie posizioni.

(Foto ANSA/SIR)

Zelenskyy ha confermato un accordo per acquistare armi statunitensi per un valore di 90–100 miliardi di dollari, il cui finanziamento sarà garantito dall’Europa. In ballo anche la proposta di estendere l’art. 5 del Trattato Nato all’Ucraina. Proposta avanzata da Trump a Putin nel summit di Anchorage di Ferragosto. Possono essere queste le basi per le cosiddette ‘Garanzie di sicurezza’ per l’Ucraina?
L’articolo 5 della Nato non può essere applicato a un Paese che non è membro dell’Alleanza e che si trova già in stato di guerra. È formalmente inapplicabile. Quello che si profila è piuttosto un sistema di deterrenza: fondi americani ed europei che vengono convogliati in Ucraina per l’acquisto di armi, e che poi ritornano negli Stati Uniti come sostegno all’industria militare. Allo stesso tempo, Washington ha accettato di acquisire armamenti e droni prodotti in Ucraina, settore nel quale Kiev ha sviluppato una capacità tecnologica avanzata grazie al contributo britannico e statunitense. Tutto questo crea un vincolo strategico tra Stati Uniti e Ucraina, rafforzato anche dagli accordi per l’accesso a risorse critiche e minerali rari, di cui l’Ucraina dispone in abbondanza. Tali risorse potrebbero coprire fino al 20% del fabbisogno europeo.

Dietro le parole di libertà e democrazia si muovono dunque anche interessi economici molto concreti.

La presenza compatta dei leader europei a Washington ha un significato politico?
Sì, l’Europa ha voluto mostrare di esserci come attore unitario. È un passo in avanti rispetto alla tradizionale frammentazione della politica estera europea. Tuttavia, all’interno del fronte comune emergono differenze profonde. Francia e Gran Bretagna, che hanno dato vita alla cosiddetta “coalizione dei volenterosi”, spingono per un approccio più interventista. Altri Paesi, come l’Italia, mantengono una posizione più prudente e realista, consapevoli che un impegno militare diretto in Ucraina sarebbe difficilmente sostenibile, soprattutto di fronte all’opinione pubblica interna. È arduo immaginare soldati francesi o britannici combattere e morire in Ucraina con il consenso dei rispettivi cittadini.

L’Italia, scegliendo di non forzare la mano, si colloca tra i realisti, mentre altri restano legati a visioni più idealiste.

Dopo quanto detto, possiamo parlare di vertice storico?
È necessario mantenere prudenza. Si tratta di un primo passo, ma la strada è lunga. Il livello dei negoziati si è alzato: non sono più tecnici a incontrarsi, ma Capi di Stato e di Governo.

Se davvero ci sarà l’incontro tra Zelensky e Putin nelle prossime settimane, allora potremo dire che si è aperta una nuova fase. Ma non basta un vertice per fare la storia.

Gli accordi di pace si dividono in due categorie: quelli brevi, che sanciscono il cessate il fuoco e congelano i fronti, e quelli lunghi, che definiscono confini, risorse, alleanze e zone cuscinetto. È in questa seconda fase, che può durare decenni, che si deciderà il futuro dell’Ucraina e dell’Europa.

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