This content is available in English

Le tragedie del Novecento raccontate da Anda Rottenberg

Guerra, nazismo, comunismo, antisemitismo… La critica e storica dell’arte polacca condivide con il Sir la storia personale e familiare, carica di sofferenza. Una vicenda del passato che ha molto da insegnare anche all’Europa di oggi

1947: inaugurazione del monumento agli ebrei trucidati dai nazisti al Cimitero ebraico di Nowy Sacz. A sinistra la piccola Anda Rottenberg (Foto Archivio Anda Rottenberg )

Anda (Andrea) Rottenberg è una stimata critica e storica dell’arte polacca. Nota anche per gli allestimenti del padiglione polacco alla Biennale di Venezia, dal 1993 al 2001 è stata direttrice della prestigiosissima galleria d’arte Zachęta a Varsavia. È anche autrice di vari racconti autobiografici nei quali, attraverso le vicende famigliari, ricostruisce la travagliata storia del XX secolo in Europa centrorientale. Nata nel 1944 a Novosibirsk nella Siberia centrale da madre russa e da padre polacco di origini ebree, condivide con SIR alcune immagini del passato che illustrano l’orrore quotidiano della Shoah.

Il cimitero ebraico di Nowy Sącz. Il primo ricordo che Anda ha di suo padre Wolf Rottenberg è legato ad una fotografia che la ritrae bambina insieme a papà e una quindicina di sopravvissuti al cimitero ebraico di Nowy Sącz. I membri del gruppo, dopo la fine della guerra, hanno deciso di erigere un monumento per commemorare i loro famigliari trucidati da nazisti soprattutto a Bełżec ma anche in altri campi di sterminio nazisti.

Il cimitero ebraico di Nowy Sącz è visitato da molti ebrei da tutto il mondo.

Infatti, proprio lì è sepolto il Tzsadik (rabbino) Chaim Halberstam, fondatore di una dinastia chassidica. Durante la guerra, il cimitero fu luogo di numerose esecuzioni e, secondo le fonti ufficiali, vi furono trucidate almeno 2.500 persone. Dopo la fine del conflitto, i sopravvissuti si presero cura del cimitero, cercando di restaurarlo, di portarvi le pietre tombali (matzeva) trovate altrove, anche quelle semidistrutte perché usate per la pavimentazione delle strade o altri scopi, di trasferirvi le spoglie degli ebrei assassinati nei villaggi vicini o nei molti boschi della regione di Precarpazia.

Un libro autobiografico. “Mio padre faceva il sarto. È nato nel 1909 a Biczyce a 4 chilometri da Nowy Sącz, un centinaio di chilometri a sud est di Cracovia. Era un villaggio molto piccolo, vi erano una ventina di fattorie famigliari di ebrei, polacchi e tedeschi. Nel 1940 i tedeschi hanno portato nel ghetto di Nowy Sącz le famiglie ebree del paesino, fra le quali donne e bambini della famiglia dei Safir, i quattro fratelli Buchbinder, mia nonna e mia zia, la sorella di mio padre”. Nel suo libro autobiografico “Proszę bardzo” pubblicato a Varsavia nel 2009, Rottenberg ha inserito anche una piantina di Biczyce dettagliatamente descritta in lingua tedesca. “Quella piantina l’hanno fatto i tedeschi per sapere dove erano le case di chi sbattere nel ghetto e chi no. Lo hanno fatto con tutti gli ebrei, lasciando liberi i polacchi e i tedeschi”, spiega.

La spartizione della Polonia. Nel 1942, i nazisti iniziarono la cosiddetta “soluzione finale”: lo sterminio di massa di tutti gli ebrei. Una sorte simile era prevista, nel futuro, anche per altre minoranze e, infine per i polacchi, inizialmente considerati semplicemente “forza lavoro”. “Mio padre non era ebreo ortodosso. Era cresciuto nella cultura polacca. Era un patriota polacco, la sua visione del mondo era polacca e i geni ebraici erano per lui al secondo posto. A metà degli anni venti aveva fatto il regolare servizio di leva presso il reparto di cavalleria polacca a Dębica. Tuttavia, al momento dello scoppio della guerra, la coscrizione avveniva in modo molto caotico. E così, anche mio padre, come molti altri non raggiunse mai il proprio comando. Decise quindi di scappare e, attraversando il fiume San, di recarsi a Leopoli. Ci sarebbe forse riuscito se fosse stato prima del 17 settembre 1939 quando l’Armata Rossa invase a est la Polonia, già attaccata dai tedeschi all’ovest”. Il patto Ribbentrop-Molotov tra l’Urss e il Terzo Reich, siglato ad agosto del 1939, prevedeva la spartizione della Polonia tra la Russia sovietica e la Germania nazista in cambio di una reciproca non aggressione. Nel 1941 Hitler violò gli accordi, dichiarando guerra all’Urss.

Dal Mar Bianco alla Siberia. “Sull’altra sponda del San c’erano già i sovietici che, dopo aver arrestato mio padre, lo portarono in una prigione di Leopoli, e successivamente lo indirizzarono nel gulag di Kandalaksa, oltre il circolo polare”. Nel libro Rottenberg scrive che sul Mar Bianco suo padre lavorando per quattordici ore al giorno sopravvisse solo perché “essendo riuscito a preservarsi dai geloni, il suo corpo non iniziò a marcire”. “La guerra tra l’Urss e la Finlandia (la guerra d’inverno) costrinse le autorità sovietiche a evacuare i prigionieri da Kandalaksa e di trasferirli in Siberia. E così mio padre si trovò in uno dei numerosi Siblag vicino a Novosibirsk”.

I campi di detenzione e di lavoro iniziarono a sorgere in Siberia, intorno a Novosibirsk già nel 1925.

In poco tempo, alle decine di migliaia di detenuti si aggiunsero i reduci della grande carestia del 1930 e dopo il 1939 i deportati, fra i quali molti polacchi. L’autrice di “Proszę bardzo” con triste sarcasmo racconta la storia dei cimiteri dove furono sepolti milioni di prigionieri, delle necropoli trasformate, per volere di Stalin, in centri di sport e ricreazione. Le disumane decisioni prese senza alcun rispetto per le persone, vive o morte che fossero, e volte unicamente a occultare il numero reale delle vittime dei lager, hanno privato i famigliari degli scomparsi di ogni possibilità di localizzare le tombe.

Il peregrinare della famiglia. “I miei genitori si sono conosciuti nel lager. Mio papà si ricordava della Polonia di prima della guerra dove la vita era molto diversa da quella a Novosibirsk. Così ha suggerito alla mamma di tornare con lui a Nowy Sącz. Per la mamma non fu molto semplice perché da russa le è stata revocata la cittadinanza sovietica. Ma infine ci riuscirono…”. La famiglia Rottenberg tornò in Polonia nel 1946 e poco dopo si stabilì a Nowy Sacz, dove riprese contatti con i pochi famigliari sopravvissuti alla Shoah. Fra loro c’era il fratello di Wolf Rottenberg, Kazek, che durante la guerra per due anni era stato nascosto presso una famiglia di contadini polacchi in un villaggio vicino a Biczyce. Alcuni cugini poi, dopo la guerra, si trasferirono a Budapest e da lì chi in Australia e chi in Canada. Altri ancora oggi vivono in Svizzera. La famiglia di Anda Rottenberg, nel 1951 si trasferì a Legnica nella parte occidentale del Paese. Wolf Rottenberg fino a quando gli fu possibile continuò il suo lavoro di sarto. Morì nel 1976 a Kołobrzeg. Rottenberg afferma di non aver risentito dell’antisemitismo, nonostante la campagna antiebraica del marzo ’68 in Polonia, “né a scuola né all’università”.

Cimitero ebraico di Nowy Sacz (Foto Anda Rottenberg)

“Ho sperimentato l’antisemitismo”. Si ricorda bene però una scena sconvolgente avvenuta a Legnica nel 1968. “Vidi mio padre, sempre elegantissimo, curatissimo e raffinato, piangere davanti alla tv mentre sullo schermo l’allora capo del Partito operaio unificato polacco (Poup), Władysław Gomułka, invitava gli ebrei a lasciare il Paese”. Personalmente, Anda Rottenberg è stata oggetto di accuse antisemite dopo che nel 2000 a Zachęta il famoso curatore d’arte Harald Szeemann aveva esposto l’opera di Maurizio Cattelan “La nona ora” raffigurante Papa Giovanni Paolo II colpito da un meteorite. Le aggressive proteste degli ambienti ultracattolici e tradizionalisti polacchi le hanno fatto rinunciare all‘incarico di direttrice della galleria. “Allora ho capito che la Polonia è ancora un Paese antisemita. Successivamente, ho letto degli studi e delle pubblicazioni dedicate a Jedwabne e ad altri pogrom. In base a quelle letture e in base a delle ricerche minuziose degli storici oggi penso che i campi di stermino e di concentramento siano sorti in Polonia, su terra polacca, proprio in ragione dell’antisemitismo della Polonia di prima della guerra”.

 

 

 

Altri articoli in Europa

Europa