Più o meno Europa?

Il grande evento delle elezioni in India si è concluso nei giorni scorsi con un ridimensionamento dello strapotere di Narendra Modi che, anche se confermato al 3° mandato, non ha più la maggioranza assoluta e dovrà venire a patti con altre formazioni. Esulta il partito del Congresso (dei Gandhi), che, dato per spacciato, ha invece raddoppiato i seggi in parlamento.

Il grande evento delle elezioni in India si è concluso nei giorni scorsi con un ridimensionamento dello strapotere di Narendra Modi che, anche se confermato al 3° mandato, non ha più la maggioranza assoluta e dovrà venire a patti con altre formazioni. Esulta il partito del Congresso (dei Gandhi), che, dato per spacciato, ha invece raddoppiato i seggi in parlamento. Con un miliardo di elettori per il miliardo e 400 milioni di abitanti, quella indiana è la nazione, ma anche la democrazia, più popolosa del mondo: e occorre dire che, anche in questa circostanza, dopo i dieci anni di guida affidata al partito nazionalista che l’ha elevata sì al rango di superpotenza, ma al prezzo di un’altissima disoccupazione e di un’inflazione alle stelle, ha dimostrato di essere una democrazia sana che giudica l’operato dei suoi capi, i quali, almeno per ora, ne accettano il giudizio. Si sa che non è così in altre finte democrazie, più o meno popolose, più o meno potenti, che pure chiamano i cittadini al voto. Ora, però, è la volta dell’Europa, che della democrazia può dirsi la culla, ma il cui grado di salute è messo a rischio dalle forti tensioni che l’attraversano in questi anni. L’UE – che non è una nazione, ma appunto una “Unione” di nazioni, e la cui chiamata alle urne per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo ha connotazioni diverse, ma certamente democratiche – con i suoi 370 milioni di elettori per i 450 miliardi di abitanti, nel novero dei numerosi appuntamenti elettorali di questo 2024 è per consistenza la seconda entità convocata. Tocca, dunque, a noi, dimostrare che la nostra democrazia è in salute e intende affrontare con piglio propositivo le sfide che l’attendono. Nessuno si nasconde che la presenza e la prosperità delle “democrazie” disturba costantemente le pseudodemocrazie o le dittature o le “democrature”, come ad esempio la Russia, la Cina e molti paesi filosovietici, tanto che già da tempo prosegue la cyber war con la diffusione di “deepfake” (fake news elaborate dall’intelligenza artificiale) per indebolire, manipolare e orientare ai propri scopi l’elettorato europeo (come, in prospettiva, quello statunitense). Ma, al netto di questo, si può confidare, o almeno occorre sperare, che l’elettore medio sappia discernere il vero dal falso. Prima condizione per dimostrare la buona salute della democrazia europea è l’affluenza alle urne; e, a questo riguardo, giungono segnali di un crescente interesse che verificheremo in questo sabato-domenica. E’ un “diritto-dovere” – si diceva – che tutti sono chiamati ad esercitare: come recita l’efficace ed elementare slogan diffuso dall’ufficio parlamentare “Usa il tuo voto. O gli altri decideranno per te”. Seconda condizione sarebbe un confronto aperto e leale tra le differenti posizioni con il rispetto di ciascuna; e non si può dire che sia mancato, per quanto a volte con toni accesi, se non fuori dalle righe. Ma la questione è poi il risultato. Ebbene, i 720 seggi (76 per l’Italia) saranno distribuiti tra i vari partiti che a loro volta sono riuniti o si riuniranno in differenti gruppi. Se è importante conoscere le idee del candidato, non meno lo è conoscere quelle del partito e del gruppo di cui farà parte, poiché saranno i giochi numerici a determinare l’orientamento di fondo della politica comunitaria – condizionata dal Consiglio europeo, formato dai governi – decidendo la nomina del presidente della Commissione europea. Ebbene, in Italia, attualmente, abbiamo Lega e M5S, che per motivi diversi si pongono su un fronte anti-europeista, un FdI che ha rinunciato all’euroscetticismo per la necessità di dialogare con Bruxelles, un Pd europeista che però deve fare i conti con candidati contraddittori; FI è da sempre euro-entusiasta (con Renzi, Bonino, Calenda). Chi vuole più Europa e chi ne vuole meno ha possibilità di scegliere, calcolandone le conseguenze.

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