Budapest: Ilaria Salis in catene. Ora è un caso umanitario e politico

La donna italiana, 39enne, è accusata di aver aggredito, nel febbraio 2023, due estremisti di destra nella capitale ungherese. I quali non hanno neppure sporto denuncia. Da allora sta subendo una detenzione durissima. Davanti alla corte è stata portata con i ceppi a mani e piedi e tenuta da una sorta di guinzaglio. Il padre Roberto denuncia maltrattamenti. Avviata una petizione per liberare la ragazza

(Foto ANSA/SIR)

Dopo aver visto le immagini arrivate da Budapest, il caso di Ilaria Salis non riguarda più “solo” un processo a una cittadina italiana detenuta da quasi 12 mesi, accusata di aver aggredito, nel febbraio 2023, due estremisti di destra nella capitale ungherese; la vicenda ora sfocia nella tutela dei diritti umani, in Europa come nel mondo.
Portata incatenata polsi e caviglie, e tenuta al guinzaglio, in un’aula di tribunale, circondata da poliziotti col volto coperto e armati fino ai denti, Ilaria Salis viene processata dopo una detenzione da varie voci giudicata durissima.
Ilaria si è presentata davanti ai giudici sfoderando un sorriso sconcertante, eppure la famiglia parla di “carcere disumano”.No, quella della Salis, 39 anni, insegnante monzese, “antifascista” (assieme a lei a processo anche due cittadini di nazionalità tedesca, uno dei quali si è dichiarato colpevole ottenendo una pena di 3 anni, l’altro già ai domiciliari), sta via via assumendo i contorni di un caso umanitario e politico a tutto tondo.
Umanitario perché in Europa, nell’Europa della democrazia, dello stato di diritto e dei diritti fondamentali, una detenzione e un trattamento di questo genere non possono essere tollerati. Non in un Paese che fa parte dell’Unione europea.
E, ugualmente, un caso politico. Perché Salis è una cittadina europea, il cui passaporto italiano le garantisce (ciò che dovrebbe essere garantito a ogni essere umano) un trattamento equo anche in carcere e in tribunale.
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha affidato al social X un suo commento: “Chiediamo al governo ungherese di vigilare e di intervenire affinché vengano rispettati i diritti, previsti dalle normative comunitarie, della cittadina italiana Ilaria Salis, detenuta in attesa di giudizio”. Ancora troppo poco rispetto alla posta in gioco: il trattamento disumano, a prescindere dal reato contestato peraltro al momento tutt’altro che dimostrato.

Salis durante l’udienza preliminare – giunta 11 mesi dopo l’arresto – si è dichiarata “non colpevole” e ha osservato di non aver avuto accesso a tutte le carte del processo.
La magistrata dinanzi alla quale Ilaria è comparsa ha a lungo esposto i fatti, affermando che la Salis farebbe parte di una organizzazione estremista. La Procura a novembre aveva chiesto per l’imputata 11 anni di carcere ma il rischio è che possa essere condannata fino a 24 anni.

La vicenda risale al febbraio dello scorso anno e riguarda la presunta aggressione che Ilaria avrebbe effettuato, insieme a due suoi compagni, a due neonazisti giunti a Budapest per prendere parte a una manifestazione che riunisce annualmente nella capitale schiere di estremisti per festeggiare un battaglione nazista che tentò di impedire, durante la seconda guerra mondiale, l’assedio della città da parte dell’Armata Rossa.

Ma ciò che più colpisce e inquieta è che, come riferito dal difensore di Ilaria, i due presunti aggrediti non hanno neppure sporto denuncia.

Sconvolto il padre della donna, Roberto – presente in aula con alcuni amici di Ilaria –, che continua a denunciare maltrattamenti nei confronti di Ilaria e l’impossibilità di avere regolari contatti con lei.
La prossima udienza è stata rimandata a fine maggio e alla donna italiana sono stati rifiutati i domiciliari.
Sono diverse le testimonianze di chi afferma le condizioni inumane nelle quali Ilaria, e gli altri detenuti, sono costretti a vivere la detenzione (maltrattamenti e botte, mancanza di igiene, topi, piccioni, cimici, catene) e la paura è che Ilaria possa restarci molto a lungo.

Il “Comitato Ilaria Salis” ha avviato una petizione per la liberazione dell’insegnante di Monza.

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