Parlamento europeo: chi vuole le riforme e chi le frena

La scorsa sessione plenaria di Strasburgo ha approvato un documento che immagina una Ue rafforzata, con maggiori competenze e più vicina ai cittadini. Eppure l’emiciclo si è diviso. Con il rischio di indebolire le proposte di riforma, facendo il gioco dei nazionalisti

(Foto Parlamento europeo)

C’è qualcosa che – probabilmente – non funziona al Parlamento europeo. Se ne è avuta conferma quando, durante la sessione plenaria di Strasburgo di novembre, l’emiciclo ha approvato una relazione, accompagnata poi da una risoluzione, che contiene significative – a tratti addirittura coraggiose – proposte per rendere l’Ue più efficiente, vicina ai cittadini, capace di rispondere alle sfide geopolitiche, economiche, ambientali e sociali attuali.
Tali proposte, indirizzate a Consiglio e Commissione Ue, prendono le mosse dalla Conferenza sul futuro dell’Europa (maggio 2021-maggio 2022), che aveva tratteggiato decine di possibili ritocchi o vere e proprie riforme della “casa comune”, le quali però erano rimaste nei cassetti per l’incapacità – o la mancata volontà – dei 27 capi di Stato e di governo di trovare un accordo in proposito. Proprio a loro, riuniti nel Consiglio europeo, si deve la maggior parte della responsabilità per una Ue che rimane inadeguata alle trasformazioni imposte dalla storia. Basterebbe pensare ai cambiamenti climatici, alla sicurezza, alle migrazioni, alla pervasività della finanza, alla politica estera, temi su cui i leader nazionali appaiono divisi.
Ebbene, il documento passato in Parlamento era stato preparato dai rappresentanti dai cinque gruppi più “europeisti” (se così si può dire): popolari, socialisti e democratici, liberali, verdi e sinistra.
Tra le proposte presenti nella risoluzione votata figurano ad esempio un maggiore ricorso al voto a maggioranza qualificata in Consiglio e alla procedura legislativa ordinaria (che coinvolge il Parlamento assieme al Consiglio); il riconoscimento al Parlamento di un pieno diritto di iniziativa legislativa (che attualmente spetta alla Commissione) e del ruolo di colegislatore per il bilancio a lungo termine; una revisione delle norme sulla composizione della Commissione e per l’elezione del suo presidente. Il Parlamento chiede inoltre di aumentare le competenze dell’Ue in settori strategici come l’ambiente e l’energia, nonché la “creazione di meccanismi di partecipazione adeguati e il rafforzamento del ruolo dei partiti politici europei, per dare più voce ai cittadini”. Chiede di rendere le competenze nei seguenti settori, attualmente di competenza esclusiva degli Stati membri, di competenza condivisa tra Stati e Ue: salute pubblica, protezione civile, industria, istruzione.
I cinque gruppi proponenti potevano contare sulla carta su 440 voti rispetto ai 705 componenti del Parlamento. Eppure la risoluzione è stata approvata con soli 291 voti favorevoli, 274 contrari e 44 astensioni. Molte dunque le defezioni, particolarmente significative nel Ppe.Ora è lecito domandarsi quale vento stia tirando all’Europarlamento. Si vogliono le riforme oppure no? Chi rema contro? Sono forse gli eurodeputati nazionalisti, che albergano in vari partiti presenti a Strasburgo? O, più semplicemente, i calcoli elettorali prevalgono sulla responsabilità politica verso una Unione europea rinnovata e “utile”?
Una cosa è certa: se il Parlamento si divide diventa politicamente più debole rispetto al Consiglio. E così i cittadini perdono “peso” nell’architettura comunitaria.
Un segnale da non lasciar cadere anche in vista delle elezioni per il rinnovo dell’Eurocamera previste per il prossimo mese di giugno.

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