Bruxelles: una sera carica di tensione e dolore nel racconto di don Claudio Visconti

Il sacerdote bergamasco, responsabile della comunità cattolica italiana nella capitale belga, ieri sera si trovava a casa di amici. Poi, d’un tratto, la notizia dell’attentato rilanciata dai social. Il ritorno frettoloso verso casa, a piedi. Poche persone per strada, sguardi sospettosi. “Ma come può vivere la gente in quei Paesi dove la violenza è di casa? E l’umanità non impara mai dal proprio passato?”

(foto: SIR/Marco Calvarese)

“Ieri ho vissuto una serata come mai prima nella mia vita e che non auguro a nessuno”. Don Claudio Visconti, prete bergamasco, è responsabile della comunità cattolica italiana a Bruxelles e animatore del Foyer Catholique Européen. Nelle ore del tragico assalto che ha portato alla morte di due cittadini svedesi era fuori casa. “Di solito passo le mie serate al Foyer Catholique – racconta oggi al Sir – dove si svolgono gli incontri pastorali e culturali della nostra comunità italiana di Bruxelles e di altre comunità che fanno riferimento alle istituzioni europee. Oppure, quando non ho impegni particolari, vado a cenare da qualche famiglia per i più diversi motivi: amicizia, preparare un battesimo, fare due chiacchere… Di abitudine esco in macchina, ma ieri sera, a causa delle code sempre più lunghe sulle strade di Bruxelles e dell’impossibilità di parcheggiare in alcuni luoghi della città, mi ero spostato con i mezzi pubblici”.
Don Visconti prosegue: “ho vissuto una bella serata in casa di una famiglia. Verso la fine della cena, alle 20.15, sono stato raggiunto da un messaggio di un’amica che mi chiedeva in che zona di Bruxelles fossi perché era in corso un attentato”. “Abbiamo subito letto i social: raccontavano di un attentatore che un’ora prima circa aveva ucciso due persone svedesi, probabilmente arrivate in città per la partita di qualificazione europea, Belgio contro Svezia. L’attentatore era sfuggito alla polizia, secondo le prime parziali notizie, e su una moto si aggirava, non si sa bene dove, con mitra in spalla. Pronto, magari, a sparare su chi avesse incontrato”.
A quel punto gli amici consigliano al sacerdote di uscire subito e dirigersi verso casa. “Ovviamente ho accolto l’invito. Sono sceso in strada e mi sono incamminato velocemente verso il tram che mi avrebbe riportato a casa”. Ma, “appena sceso, ho colto nell’aria una forte tensione; evidentemente la notizia era già passata sui telegiornali che a quell’ora sono in onda nel palinsesto televisivo: quasi nessuno per strada, e chi incontravo si allontanava da me, come del resto io da loro, per il sospetto dell’uno verso l’altro, tutti impugnando il cellulare, quasi come un mezzo di salvezza se qualcuno ci avesse aggredito. In realtà mi sono poi reso conto che… non sarebbe servito a nulla”.
La paura latente, l’incertezza, qualche ombra per la strada. Tutto si fa, improvvisamente, minaccioso. “Tanti pensieri in quel momento mi affollavano la mente. Bastava un minimo rumore per mettermi in allerta, nella speranza che non fosse nulla”. Così, con prudenza e circospezione, don Claudio arriva alla fermata del tram: “ma era in ritardo e mi chiedevo se sarebbe arrivato, avendo saputo che erano state fermate alcune linee della metropolitana. Mi trovavo davanti alla pensilina della fermata, assolutamente solo. A quel punto ho deciso di incamminarmi verso casa, a circa 30 minuti di strada da dove mi trovavo”. Passo veloce e un po’ di ansia “perché comunque la strada era insolitamente vuota, a causa – l’ho capito poi – dell’avviso delle autorità di ritirarsi nelle proprie abitazioni”.
“Ho percorso il tragitto con la massima attenzione, incrociando pochi sguardi che esprimevano le mie stesse emozioni. Dalle poche persone che incontravo quasi istintivamente mi allontanavo; lo stesso facevano loro, quasi fossimo tutti potenziali terroristi, l’uno contro l’altro”.Il sacerdote ora s’interroga a voce alta: “perché da subito si genera in noi questo senso di sfiducia nell’altro? Perché quegli sguardi, tra la paura e lo smarrimento? D’altro canto pensavo a Israele, alla Palestina, all’Ucraina, dove sono stato recentemente, dove insiste la guerra. E poi la Nigeria, il Sudan… Come vivono quelle popolazioni nel terrore quotidiano, con il rischio di essere colpiti, di vedere uccisi i propri cari? Come può essere l’esistenza quotidiana nel dubitare del proprio oggi e del proprio domani?”.
Don Visconti conclude: “tutti abbiamo sentito parlare delle guerre; anche solo per televisione avviamo visto i disastri che creano, le sofferenze, gli esili. Tuttavia sembra, come mi diceva un caro amico, che gli uomini sono sempre uguali, incapaci di imparare dal loro passato e perciò incapaci di progettarsi un futuro di pace, insieme. Ma sarà proprio così? La tanto richiamata guerra mondiale a pezzi di Papa Francesco ci insegnerà qualcosa?”.

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