Operazione Colomba a Kherson, dove la gente non si arrende alle fiamme delle bombe e all’acqua della diga

“Siamo arrivati a Kherson ieri ed abbiamo trovato una situazione catastrofica”. Parte da qui il racconto di Sebastiano Losi, uno dei tre volontari dell’Operazione Colomba, che si trovano attualmente in città. Sono impegnati proprio in queste ore, caschetto in testa, a recuperare il materiale rimasto illeso dalle fiamme divampate nella notte fra il 18 e il 19 luglio dopo il bombardamento della Casa della cultura di Kherson. Nonostante la distruzione delle fiamme, i bombardamenti continui e la distruzione provocata dall’alluvione, “la gente che è rimasta qui a Kherson, non ha intenzione di andare via adesso. Si va avanti con forza e resistenza”

(Foto Operazione Colomba)

Nessuna resa alle fiamme, alla distruzione, alle bombe che piovono dal cielo, al fango dell’alluvione. Si va avanti. Con coraggio e resistenza. Parla da Kherson Sebastiano Losi, uno dei tre volontari dell’Operazione Colomba, che si trovano attualmente in città.

(Foto Operazione Colomba)

Sono impegnati proprio in queste ore, caschetto alla testa, a recuperare il materiale rimasto illeso dalle fiamme divampate nella notte fra il 18 e il 19 luglio dopo il bombardamento della Casa della Cultura di Kherson. Un edificio utilizzato dalla Chiesa Evangelica del posto come centro di raccolta e distribuzione di aiuti umanitari. Qui venivano portati gli aiuti umanitari. Da qui partivano i pulmini per la loro distribuzione alla popolazione locale. È stato quindi colpito un punto di riferimento vitale per la gente rimasta in città, già provata dalla recente inondazione causata dalla distruzione della diga Kakhovka.

“Siamo arrivati a Kherson ieri – racconta Sebastiano – ed abbiamo trovato una situazione catastrofica. Tutto il secondo piano dove c’erano anche dei vestiti che erano stati donati alla comunità per la popolazione locale, è andato a fuoco. È stata bruciata anche la parte in cui questa comunità cristiana evangelica si trovava per la preghiera. Il piano terra è pericolante. Ieri pioveva e c’era acqua dappertutto. I solai zuppi”. Sul posto sono intervenuti anche i vigili del fuoco. I ragazzi dell’Operazione Colomba, il corpo di pace della Comunità Papa Giovanni XXIII, stanno dando una mano a svuotare le stanze e soprattutto a mettere in salvo gli aiuti umanitari scampati all’incendio. L’edificio era pieno anche di acqua potabile, perché in città – dopo l’alluvione – la gente è rimasta anche senza acqua pulita. Appena i volontari dell’Operazione Colomba sono entrati nell’edificio distrutto dalle fiamme, si sono trovati con alcune persone della comunità e in una stanza si sono messi a pregare. Chitarra alla mano, si è levato un canto nel cuore di un edificio totalmente distrutto e annerito dalle fiamme. 

In queste ore nello scacchiere della guerra, tutta la fascia che va dal Mar Nero lungo tutto il fiume Dnipro è presa di mira. Nella notte i russi hanno sparato missili Kalibr da una portaerei nel Mar Nero, colpendo i terminal di grano di un’azienda agricola della regione di Odessa, distruggendo 120 tonnellate di cereali. Ma è solo il quarto attacco alla regione di Odessa da parte di Mosca in una settimana. I bombardamenti stanno colpendo un territorio già duramente provato dall’alluvione causata dalla distruzione della diga Kakhovka. “È tutto alluvionato”, è la testimonianza di Sebastiano. “Tutta la regione di Kherson si trova lungo la foce del fiume Dnipro e quando le acque sono esondate dopo la distruzione della diga, un’intera area, lunga un chilometro, è stata totalmente inondata . Siamo entrati nelle case e quando con difficoltà abbiamo aperto le porte, dentro abbiamo trovato fango, distruzione, legni marciti, odore fortissimo. Ma nonostante i bombardamenti continui e la distruzione dell’acqua – aggiunge Sebastiano – la gente che è rimasta qui a Kherson, non ha intenzione di andare via adesso. Si va avanti con forza e resistenza”.

“A Kherson la situazione è un disastro”, conferma Alberto Capannini, uno dei fondatori di Operazione Colomba, rientrato in Italia da una settimana. “Ci sono giorni in cui ci sono esplosioni ogni 50 secondi con morti e feriti. A Mykolaiv, invece, la situazione è migliorata nel senso che le persone provano a condurre una vita normale. Stanno anche pensando di riaprire le scuole a settembre. Lo potranno fare però solo quelle che hanno le dotazioni necessarie per garantire sicurezza come la presenza in loco di un rifugio ma non sappiamo quante e se riusciranno a farlo”. Ma che la situazione sia estremamente tesa, è dimostrato anche dal fatto che è partita purtroppo una nuova mobilitazione. “L’esercito sta richiamando tutti”, racconta Capannini. “Stavamo sistemando una stanza a Mykolaiv e non riuscivamo a trovare elettricisti e muratori. Erano tutti via”.Le cronache di guerra parlano anche di una escalation. Le Forze di difesa aerea ucraine riferiscono del lancio di missili supersonici Onix in direzione di Odessa mentre dagli Stati Uniti confermano l’uso da parte di Kiev delle bombe grappolo in modo “appropriato ed efficace”. “Mi preoccupa ogni escalation militare”, dice Capannini. “Mi preoccupa che non ci sia uno straccio di iniziativa diversa dalla guerra, ad eccezione di quella del Papa che è stata però relegata al livello di aiuto umanitario. Come può finire? L’uso di dispositivi come le armi a grappolo significa seminare mine per anni. Tutte le armi sono terribili ma non è un caso se le armi a grappolo sono bombe vietate in tutti gli Stati tranne che in Russia, Usa e Ucraina. Non dimentichiamo che dove c’è la guerra, non c’è umanità”.

Altri articoli in Europa

Europa