Kosovo e Serbia ai ferri corti. Krastev (analista): l’Ue pretende pace e stabilità

Le tensioni fra Pristina e Belgrado continuano a minacciare la pace tra i due Paesi, la stabilità della regione balcanica e il loro stesso percorso verso l'Unione europea. Per questo si susseguono i tentativi dei Ventisette di riportare relazioni costruttive. La visita di Miroslav Lajcak, inviato da Bruxelles; il ruolo dei "mediatori" Josep Borrell, Mark Rutte e Xavier Bettel; il ruolo dei leader Alexander Vucic (serbo) e Albin Kurti (kosovaro). Il Sir ha raccolto il commento dell'esperto Nikolay Krastev

Josep Borrell con Albin Kurti (Foto Commissione europea)

Una serie di visite ad alto livello si stanno avvicendando negli ultimi giorni tra Pristina e Belgrado nell’ennesimo tentativo di arrivare ad una “deescalation” della tensione che attraversa il Kosovo dalla fine di maggio di quest’anno. Oggi a Pristina è arrivato Miroslav Lajcak, inviato speciale dell’Ue, mentre i primi ministri di Paesi Bassi e Lussemburgo – Mark Rutte e Xavier Bettel – sono già stati in visita nelle due capitali di Kosovo e Serbia. “Diminuire le tensioni è necessario non solo per la pace e la stabilità nella regione ma anche per ulteriori progressi verso l’integrazione europea”, ha detto Mark Rutte ai giornalisti.

Nikolay Krastev (Foto SIR/I.M.)

Insediamento dei sindaci e proteste. “In termini concreti ciò significa il ritiro delle unità speciali della polizia del Kosovo dalle vicinanze degli edifici municipali nel Nord del Paese dove è presente la minoranza serba”, spiega al Sir l’analista dei Balcani Nikolay Krastev. E aggiunge che “il casus belli è stato proprio l’insediamento dei sindaci di origine albanese alla fine di maggio che ha provocato numerose proteste sfociate in violenti scontri con le forze Kfor in cui diversi militari sono rimasti feriti”. “La ragione – prosegue – è che i serbi non hanno partecipato alle elezioni municipali alle quali ha votato solo il 3,9% della popolazione di origine albanese”.

Pressioni da Bruxelles e Washington. “Nelle richieste dell’Ue infatti – rileva Krastev – figura anche il ritiro dei nuovi sindaci dagli edifici comunali e l’indizione di nuove elezioni nella parte settentrionale del Kosovo e successivamente la creazione dell’Associazione delle municipalità serbe”. Fino a questo momento però il premier Albin Kurti non ha risposto positivamente alle richieste europee ritenendole “contrarie alla Costituzione”. L’analista spiega che “Kurti vorrebbe indire nuove elezioni secondo le procedure previste: così servirebbe una petizione firmata da oltre il 20% della popolazione locale, ma ciò richiederebbe molto tempo, da 3 ai 6 mesi, mentre Bruxelles e Washington vogliono chiudere questo focolaio di tensione il prima possibile”.

Sanzioni e ritorsioni. Dal 1° luglio per il Kosovo è entrata in vigore una serie di sanzioni da parte dell’Ue tra cui la sospensione temporanea del Kosovo da tutti gli incontri dell’Ue con rappresentanti dei Balcani occidentali, inclusi i gruppi di lavoro per l’accordo di stabilizzazione e associazione (Asa), il primo passo verso l’adesione del Kosovo alla comunità europea. Per ora sono congelati anche i fondi di preadesione del programma Ipa e del quadro per gli investimenti per i Balcani occidentali. Tutto questo è accaduto dopo le tensioni tra i serbi del Kosovo del Nord e la polizia di Pristina. L’Ue ha fatto una serie di richieste rimaste per ora senza risposta dal governo kosovaro. “Per un’economia in via di sviluppo come quella di Pristina, ancora fragile in molti aspetti – spiega ancora Nikolay Krastev –, le sanzioni potrebbero creare danni pesanti”. A suo avviso, “potrebbero facilmente essere ritirate se Kurti rispondesse positivamente alle richieste dell’Ue, altrimenti da temporaneamente sospesi i fondi europei potrebbero essere annullati”.

Josep Borrell con Alexander Vucic (Foto Commissione europea)

Il peso della guerra in Ucraina. Krastev sostiene che “per la prima volta il Kosovo viene punito con sanzioni di questo tipo ma è anche la prima volta negli ultimi 20 anni che la tensione tra i due popoli è salita così in alto”. L’esperto rileva “la linea dura adottata da Albin Kurti di imporre la sovranità dello Stato del Kosovo su tutto il territorio, incluse le parti abitate dalla minoranza serba”. “Ciò – sottolinea – ha portato a instabilità e tensioni; ma mettere Kurti alle strette potrebbe ritorcersi contro le forze dell’Occidente che dall’inizio della sua lotta per l’indipendenza ha sempre appoggiato Pristina”. In questo contesto un ruolo chiave gioca anche la guerra in Ucraina, “perché Bruxelles e Washington non vogliono certamente arrivare a un altro conflitto aperto in Europa, mentre per Mosca questo scenario distoglierebbe lo sguardo concentrato sulle azioni russe in Ucraina”

Incontri separati. “La realtà dei fatti è che da mesi i due leader, il serbo Alexander Vucic e il kosovaro Albin Kurti, non siedono allo stesso tavolo. L’ultimo tentativo è stato fatto da Josep Borrell, Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue che il 22 giugno ha richiamato i due premier a Bruxelles, ma ha dovuto svolgere incontri separati”. Krastev sottolinea che “i serbi dovranno ritirare i manifestanti dai comuni contestati e recarsi alle urne in caso di nuove elezioni locali, altrimenti seguiranno sanzioni anche per loro”. “Alla fine – afferma –, in modo silenzioso, Belgrado dovrà ammettere che il Kosovo è un Paese indipendente con cui si dovrà collaborare, anche se la resistenza interna nel suo Paese è ancora molto forte”.

 

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