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Nottingham: calo delle vocazioni, le chiese si svuotano. Don Chipchase (parroco): “Ma io ho fiducia in Dio”

“La Chiesa ha attraversato crisi molto peggiori della mancanza di vocazioni in duemila anni di storia", afferma con determinazione e serenità il parroco di Sacred Heart, chiesa cattolica, a Loughborough, cittadina universitaria. Da settembre gli sarà assegnata la cura di un'altra comunità. La Chiesa nell'isola fa i conti con l'invecchiamento dei sacerdoti, qualche edificio di culto è stato chiuso. Si scommette sulla formazione dei laici e su sacerdoti di altri continenti

Don Paul Chipchase davanti alla chiesa Sacred Heart a Loughborough (Foto SIR)

Nella diocesi di Nottingham, 13.000 chilometri quadrati e 125 parrocchie nel centro d’Inghilterra, don Paul Chipchase, 70 anni il prossimo agosto, è l’eccezione. Uno dei pochi sacerdoti rimasti a curare soltanto un gregge, quello di Sacred Heart, chiesa cattolica, a Loughborough, cittadina universitaria, circa 190 parrocchiani alla messa domenicale. Una situazione insolita che finirà presto perché, dal prossimo settembre, questo parroco con tre lauree, arrivato al sacerdozio a 40 anni, dovrà occuparsi anche della parrocchia di Saint Gregory, a Sileby, otto chilometri di distanza.

La curva delle vocazioni. “La Chiesa ha attraversato crisi molto peggiori della mancanza di vocazioni in duemila anni di storia. Per certi aspetti la Chiesa è sempre in crisi perché non appartiene davvero al mondo e, per questo motivo, ho fiducia in Dio e non sono preoccupato”, spiega don Paul al Sir, mostrando un grafico dove la curva delle nuove vocazioni sacerdotali scende rapidamente.

“Tuttavia la situazione nella quale ci troviamo non è facile”.

E specifica: “Nel 1985 avevamo 140 sacerdoti con meno di settantacinque anni. Oggi ce ne sono una cinquantina. Le chiese erano 158 e oggi 133. Entro il 2050, se non abbiamo nessuna nuova vocazione, i parroci saranno meno di dieci”. Negli ultimi cinque anni la diocesi di Nottingham ha dovuto chiudere sei chiese, perché il numero dei fedeli non giustificava più la loro esistenza, mentre lo stesso destino toccherà presto ad altre tre. Tuttavia il vescovo, Patrick McKinney, cerca di evitare di togliere ai fedeli quella panca, a quell’ora della domenica, alla quale sono così affezionati.

Cambiamenti inevitabili. “È nella natura umana essere attaccati alla parrocchia dove siamo stati battezzati, dove ci siamo sposati e dove abbiamo celebrato il funerale dei nostri genitori e i fedeli non capiscono che, per la diocesi, oggi, è molto difficile garantire questa continuità”, spiega ancora il parroco di Sacred Heart. “Per questo motivo, ormai da quindici anni, organizziamo degli incontri durante i quali parliamo di questi problemi, sperando che le persone capiscano che cambiamenti come la sospensione di alcune messe o il cambio nell’orario sono inevitabili. La diocesi sta anche facendo arrivare nuovi sacerdoti dalla Nigeria, dalla Thailandia e dalle Filippine, che vengono ordinati prima di partire per il Regno Unito”. Aggiunge: “speriamo inoltre di concludere un accordo con alcune diocesi cattoliche in Africa e in Estremo Oriente, che ci consenta di sponsorizzare alcune delle vocazioni sacerdotali che abbondano in quelle regioni.

Dopo un paio di anni il futuro parroco potrebbe arrivare nella nostra diocesi, dove completerebbe i suoi studi

e verrebbe preparato a inserirsi nella nostra cultura, prima di essere ordinato qui in Gran Bretagna. Evitiamo, così, il ‘culture clash’, lo scontro tra due culture, cosi frequente quando un parroco asiatico o africano viene assegnato a una parrocchia inglese e si trova immerso in una cultura molto materialista, con la quale fa fatica a fare i conti, per non parlare del problema di esprimersi in una lingua che non conosce”.

David Lawes (Foto SIR)

Curare e servire i fedeli. “Da un punto di vista pragmatico, sarebbe più efficiente e meno costoso chiudere gli edifici”, spiega David Lawes, responsabile di finanze e proprietà per la diocesi di Nottingham. “Potremmo, per esempio, vendere 25 delle nostre chiese, il 20%, e perderemmo pochi fedeli, circa il 5%, che potrebbero andare altrove. Non lo facciamo perché avrebbe un impatto molto negativo sul senso di appartenenza di queste comunità. Pensiamo che la nostra missione sia curare e servire i fedeli, il nostro gregge, anche se questa strategia mette sotto pressione i nostri sacerdoti. Per questo motivo amalgamiamo i consigli pastorali e la vita finanziaria e amministrativa delle parrocchie. Formiamo, poi, anche i laici, spesso volontari, e assegniamo loro nuovi ruoli finanziari o amministrativi. Alle 133 chiese aperte oggi non corrispondono altrettante comunità parrocchiali. Queste ultime sono soltanto una cinquantina. Quasi sempre, quando una chiesa viene chiusa, sono i fedeli che la frequentano a chiederci di farlo anche se il processo è sempre doloroso”.

 

 

 

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