Russia. Le donne si mobilitano contro il reclutamento. Il 57% della popolazione vuole negoziati per la pace

Calano i consensi sulla guerra tra i russi: secondo i dati diffusi dall’Istituto Levada, a settembre il 44% degli interpellati vedeva di buon occhio il proseguimento dell’offensiva in Ucraina, mentre il 48% voleva negoziati per la pace. A ottobre invece è scesa al 36% la fetta di chi vuole che la guerra continui, mentre è il 57% a volere negoziati per la pace. A far cambiare idea forse il fatto che, con la mobilitazione parziale avviata il 21 settembre, la guerra è arrivata nelle famiglie russe. I 300mila soldati desiderati sono stati raccolti: questo dicono le dichiarazioni ufficiali, soddisfatte per le nuove forze disponibili sul fronte ucraino

(Foto: ANSA/SIR)

Calano i consensi sulla guerra tra i russi: secondo i dati diffusi dall’iIstituto Levada, a settembre il 44% degli interpellati vedeva di buon occhio il proseguimento dell’offensiva in Ucraina, mentre il 48% voleva negoziati per la pace. A ottobre invece è scesa al 36% la fetta di chi vuole che la guerra continui, mentre è il 57% a volere negoziati per la pace.
A far cambiare idea forse il fatto che, con la mobilitazione parziale avviata il 21 settembre, la guerra è arrivata nelle famiglie russe. I 300mila soldati desiderati sono stati raccolti: questo dicono le dichiarazioni ufficiali, soddisfatte per le nuove forze disponibili sul fronte ucraino. Ma serve un decreto firmato da Putin per porvi effettivamente fine, cosa che non è ancora avvenuta. Tant’è che i canali Telegram dell’opposizione alla guerra, ad esempio, mandano avvisi rivolti agli abitanti di Mosca e di San Pietroburgo perché facciano attenzione ai propri spostamenti per non incappare nei punti in cui vengono distribuite lettere di reclutamento.

Mentre gli uomini vanno al fronte, o si nascondono per sfuggire all’arruolamento, la fragile resistenza e la protesta ha il volto di donna. Ci sono le madri e mogli che cercano di non far partire o di far tornare i mariti e figli dalla guerra: si propongono su Telegram riunioni online di gruppi di sostegno in cui condividere la propria situazione con persone con esperienze simili; oppure si offrono consulenze con psicologi professionisti, per sostenere il dolore di chi ha già perso il proprio caro in Ucraina. A tutti si raccomanda di “non usare il proprio vero nome e disattivare il video, per garantire l’anonimato” nelle videochiamate di gruppo. A San Pietroburgo, il coraggioso gruppo delle “madri dei soldati” continua a organizzare riunioni in presenza per le madri che hanno bisogno di consulenze legali o indicazioni su temi legati alla mobilitazione e alla coscrizione. Il 1° novembre infatti è iniziata in Russia la normale fase autunnale dell’arruolamento che dovrebbe reclutare altre 120mila persone. Secondo dichiarazioni riportate sulla stampa russa, tuttavia, questi giovani non saranno assegnati alla guerra in Ucraina. Ma, si sa, le cose possono cambiare con il tempo.

Il gruppo delle “Donne contro la guerra” ha messo in circolazione un nuovo numero del giornale “la Verità delle donne” (in russo “Zenskaja Pravda”, come la ben più famosa e meno indipendente Pravda), che dà indicazioni su quali stipendi devono aspettarsi le famiglie dei mobilitati (in polemica sul fatto che in alcune regioni sono stati offerti beni in natura per compensare il sacrificio di mariti e fratelli). Racconta anche del “boom di matrimoni” che si sono celebrati nelle scorse settimane, in fretta e furia, prima che gli amati partissero. E un articolo commenta in modo critico le parole di un sacerdote ortodosso che in un’intervista televisiva ha consigliato alle madri di “partorire di più, in modo che non sia troppo doloroso perdere figli in guerra”.

Sempre sul mondo parallelo di Telegram circolano le storie di proteste individuali: renderle note è importante perché le persone non scompaiano, ma anche perché il loro coraggio sia esempio contagioso. C’è la vicenda di Danara, che a San Pietroburgo è stata schedata dalla polizia per il suo cartello con una citazione del Dalai Lama “Il militarismo costa molto”. A Omsk, invece un’anziana signora è stata portata via da 5 agenti di polizia perché si è rifiutata di ripiegare il poster su cui aveva scritto: “Le madri fermano la guerra”. C’è la storia di una bambina di 10 anni, Varya, interrogata dalla polizia insieme alla madre per i messaggi a sostegno dell’Ucraina nella chat della scuola. È stato il preside a segnalare il suo comportamento anomalo. La polizia ha anche perquisito l’appartamento dove vivono: nulla di compromettente è stato trovato, ma Varya e la mamma saranno tenute sotto controllo. Da Ekaterinburg arriva la storia di Galina Bastrykina, un’ottantenne che ha partecipato tre volte a iniziative contro la guerra. Dopo una prima multa contenuta, il tribunale regionale di Sverdlovsk gliene ha data una seconda di 300mila rubli, impossibile da pagare con i 20mila rubli di pensione mensile. Grazie a una raccolta fondi, in 50 minuti sono stati trovati i soldi necessari. “Quanta brava gente c’è nel nostro Paese, nonostante gli eventi ostili che ci circondano”, ha commentato l’anziana signora. “Sono così felice che non abbiano ancora ucciso la gentilezza dei nostri cittadini”.

A essere multato – ma solo per 30mila rubli – è stato anche un attore, Artur Smolyaninov, perché in un’intervista rilasciata ad aprile si era espresso criticamente contro la guerra. L’attore ha lasciato la Russia mesi fa, ma il processo si è svolto ad ottobre. Oltre alla multa, Smolyaninov ha perso i diritti ai finanziamenti statali. Rispetto agli artisti che hanno lasciato la Russia con l’inizio della guerra, il ministero della cultura sta preparando un progetto di legge per “ritirare tutte le onorificenze e i pubblici riconoscimenti”. Ma Radio Svoboda fa girare sul suo canale Telegram immagini delle opere che artisti e pittori russi stanno creando per dire no alla guerra. Sono pubblicati “in forma anonima, per motivi di sicurezza”.

L’ong Memorial, a cui è andato il premio Nobel per la pace, ha istituito tanti anni fa la giornata della “restituzione dei nomi”: iniziativa che si è ripetuta il 29 ottobre per far risuonare ancora il nome di tutte le vittime del terrore sovietico: oltre 3,8 milioni di persone annientate. Ma Memorial ha anche voluto la “giornata dei prigionieri politici”, il 30 ottobre, per far risuonare i nomi delle persone che oggi sono rinchiuse nelle prigioni russe per ragioni politiche: sarebbero 502 persone, 29 delle quali imprigionate per la loro posizione contro la guerra.

La storia sembra ripetersi, lo sappiamo ormai, e la guerra di Putin contro i diritti e le libertà non si ferma, proprio come quella in Ucraina: il 27 ottobre la Duma di Stato ha adottato una proposta di legge che introduce il divieto totale di “propaganda Lgbt” in Russia, vale a dire la possibilità di mostrare in qualsiasi contesto e in una luce positiva “relazioni non tradizionali”. Si è ufficialmente aperto un nuovo capitolo della repressione.

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