Barrios Prieto (Comece): “Chiesa in Europa, voce di pace”

I vescovi dei Paesi Ue sono riuniti in assemblea a Bruxelles. Il conflitto in Ucraina fa da sfondo a un fitto dibattito imperniato sull'urgenza della pace. I lavori proseguono fino a venerdì 14 ottobre. In questa intervista al Sir, il segretario generale della Commissione degli episcopati dell’Unione europea, don Manuel Barrios Prieto, indica alcuni temi in primo piano anche in relazione al futuro dell'integrazione comunitaria

Don Manuel Barrios Prieto (foto SIR/Marco Calvarese)

Pace, solidarietà, dignità della persona umana. Temi che risuonano durante la plenaria dei vescovi europei in corso a Bruxelles (12-14 ottobre), in Square de Meeûs, dove si trova la sede della Comece, e aperta ieri sera con la “Messa per l’Europa”, presieduta dal presidente card. Jean-Claude Hollerich, nella centralissima chiesa del Sablon. Don Manuel Barrios Prieto, segretario generale della Commissione degli episcopati dell’Unione europea, affronta per il Sir alcuni argomenti all’ordine del giorno dell’assemblea. “Il primo tema è la guerra – afferma – con le sue conseguenze da un punto di vista geopolitico e socio-economiche, e delle ricadute sulla coesione europea. Ci interroghiamo su quale messaggio possiamo dare, come Chiesa, in questa situazione”.

Quali indicazioni stanno emergendo dagli incontri con i relatori e i testimoni invitati e dal dibattito tra i partecipanti?
Si evidenzia anzitutto una diffusa preoccupazione in questo quadro molto difficile. Ecco perché occorre inviare un messaggio positivo, che punti all’unità e alla solidarietà europea.

Dunque un messaggio per la fine del conflitto e per la pace. Una pace giusta.

Senza trascurare altri temi correlati, come la crisi energetica, l’inflazione e l’aumento dei prezzi con le pesanti ricadute sulle famiglie.

Gli studiosi della vicenda comunitaria sostengono che dinanzi alle grandi sfide della storia, l’Unione è sembrata fermarsi per poi cercare nuove strade e compiere così un balzo in avanti. Cosa ne pensa?
Questo lo abbiamo visto chiaramente con il Covid. C’è stato un momento iniziale in cui ogni Paese pensava prima a se stesso piuttosto che al bene comune. Poi si è compreso che non si poteva procedere da soli ma occorresse piuttosto una risposta europea, nella direzione della coesione e della solidarietà. Qui ci troviamo in un contesto analogo, con la possibilità di far fare un passo in avanti al progetto europeo.

L’Ue sembra sia vista con maggiore attenzione e simpatia al di fuori dei suoi confini, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, anziché in Europa. Come può continuare ad essere, nel quadro attuale, un “faro” – come diceva lo scomparso presidente del Parlamento David Sassoli – di democrazia e pace?
Io penso che è ancora importante renderci conto che il fondamento dell’Unione europea risiede nei valori condivisi, a partire dal rispetto della dignità di ogni essere umano, e nella nostra cultura. Direi inoltre che

l’Ue ha compiuto un cammino in questi anni: mi riferisco all’esperienza della Conferenza sul futuro dell’Europa,

un momento favorevole per riflettere sullo stesso processo di unità. Cosa andrebbe migliorato? Cosa si dovrebbe cambiare? Tutto ciò ponendosi in ascolto dei cittadini europei. Sono segnali forti, non scontati, sul piano istituzionale e della democrazia partecipativa, che valgono per l’Europa ma non solo. E anche questa assemblea dei vescovi a Bruxelles può essere vista come opportunità per dare un nuovo impulso al dialogo, alla democrazia, al bene comune, per far compiere un passo in avanti al positivo processo di integrazione culturale, sociale e politica.

Più volte Papa Francesco ha inviato messaggi di stima e sostegno all’Unione europea. Una voce ascoltata?
Direi di sì. Dovremmo ascoltare il messaggio che viene dal Santo Padre e anche da altre voci. Dalle quali si evidenzia il bisogno di una nuova solidarietà, l’invito a costruire una Unione europea salda, che si mantiene fedele alla sua missione nel mondo; una Ue che sa accogliere le persone in difficoltà, che sa integrare, che lavora per la pace. Tanti cittadini e persone di buona volontà ci chiedono di operare in questa direzione.

Nella sede Comece sono presenti i vescovi delegati dalle Conferenze episcopali dei Paesi Ue, provenienti quindi da realtà nazionali, culturali e persino religiose differenti. In assemblea si parla un linguaggio comune?
Tale caratteristica rappresenta, in realtà, la bellezza di queste assemblee. Si riuniscono vescovi provenienti da tutte le parti dell’Europa con le rispettive sensibilità nazionali, a volte diverse tra loro. E la plenaria diventa un luogo di ascolto, di dibattito,

dal quale emerge un messaggio unitario che nasce dal Vangelo e dalla dottrina sociale della Chiesa.

Lo stesso lavorare insieme, da parte dei vescovi, favorisce la creazione di un “vocabolario” unitario per una Chiesa pellegrina nell’Unione europea, che sorge proprio da questa unità nella diversità.

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