Francia alle urne per scegliere il Presidente. Macron in vantaggio, Le Pen e Mélenchon inseguono

Domenica 10 aprile gli elettori saranno chiamati al voto per il primo turno delle presidenziali. L’attuale inquilino dell’Eliseo ha grande visibilità nei media, sospinto dalla cronaca (guerra in Ucraina, contrasto alla pandemia, presidenza Ue). Destra e sinistra sono frastagliate: i candidati in corsa sono 12

(Foto ANSA/SIR)

È sufficiente trascorrere qualche giorno in Francia, che domenica 10 aprile sarà chiamata al voto per le elezioni presidenziali, per rendersi conto che questa volta le urne risultano poco attrattive per i cittadini d’Oltralpe. La guerra in Ucraina e la persistente pandemia occupano, anche qui, i pensieri degli elettori. E i consueti temi di una “tradizionale” campagna – economia, migrazioni, ambiente, scuola, servizi sociali… – stavolta hanno avuto poca presa.

In Francia il Presidente della Repubblica ha un ruolo politico fondamentale:

nomina il premier, può sciogliere l’Assemblea nazionale, indirizza le grandi scelte su economia, esteri, sicurezza e, soprattutto, ha presa diretta sull’opinione pubblica. Dal 1962 è eletto a suffragio universale diretto e dura in carica 5 anni (fino al 2002 la durata era di 7 anni). Se al primo turno nessun candidato ottiene la maggioranza assoluta dei voti espressi, si va al ballottaggio (24 aprile). L’attuale inquilino dell’Eliseo è Emmanuel Macron, fondatore, nel 2016, de La République en marche, formazione di orientamento centrista e liberaldemocratico, che in questi anni ha risucchiato il Partito socialista e si è imposto anche in numerose amministrazioni locali.

I candidati alla più alta carica dello Stato sono 12.

Tra loro la leader della destra nazionalista, Marine Le Pen, alla guida del Rassemblement National. Le Pen era andata al ballottaggio nel 2017, risultando di molto distaccata da Macron, attestatosi al 66% dei voti. Attualmente i sondaggi assegnano al primo turno un leggero vantaggio di Macron (attorno al 28%) su Le Pen (23%). Sia la sinistra che la destra risultano particolarmente frastagliate. Jean-Luc Mélenchon, capo di France Insoumise, è il candidato della sinistra radicale, e viene accreditato di una terza posizione (17%). In lizza anche l’ecologista Yannick Jadot, il Partito comunista con Fabien Roussel, e la socialista sindaca di Parigi Anne Hidalgo. Sempre a sinistra si collocano Nathalie Arthaud di Lutte ouvrière e Philippe Poutou del Nuovo partito anticapitalista. Sul versante opposto si trovano i Repubblicani con Valérie Pécresse; Eric Zemmour (Reconquete); Nicolas Dupont-Aignan (Debout la France). Jean Lassalle, candidato da Résistons, è ritenuto rappresentante del potente settore agricolo nazionale.

Domenica, dunque, i francesi si recheranno a votare con la testa altrove.

I media bombardano gli elettori con le notizie sulla guerra; il Covid non è sconfitto. Tra i politici svetta Macron, con una istrionica capacità di comunicatore, favorito dalla visibilità tradizionalmente assegnata al Presidente, che in questa fase è anche presidente di turno dell’Ue, grande sostenitore della Nato e della lotta a tutto campo contro Putin (fino a ieri esaltato dalla Le Pen). Macron sembrerebbe rassicurare la Francia moderata e progressista. L’Eliseo è, al secondo turno, alla sua portata: deve evitare scivoloni dell’ultimo momento e continuare ad accreditarsi come rappresentante di una Francia protagonista in Europa e nel mondo (Consiglio di sicurezza Onu; forte esercito con arma nucleare; discreta situazione economica ed energetica). Ma non dovrà nemmeno sottovalutare gli avversari e un elettorato che, come nel resto d’Europa, è volubile. Le sorprese possono essere dietro l’angolo.

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