Polonia in prima linea per l’accoglienza agli ucraini, ma il muro al confine con la Bielorussia continua a crescere

Lech Wałęsa, il primo presidente di una Polonia libera, si dice convinto che per i polacchi tutti i profughi sono altrettanto degni di compassione e aiuto. Egli, infatti, non fa differenza tra i rifugiati dall’Ucraina sotto le bombe, e i profughi al più spesso provenienti dall’Asia e dal Medio Oriente che cercano di attraversare il confine che divide la Polonia dalla Bielorussia. Anche i vescovi polacchi si sono appellati più volte alle autorità governative affinché ai migranti alla frontiera bielorussa venga riconosciuto il diritto internazionale d’asilo e venga prestato loro l’aiuto e sostegno necessario. Ma il muro continua a crescere.

(Foto Caritas Polonia)

Lech Wałęsa, il primo presidente di una Polonia libera, e fondatore di Solidarnosc, si dice convinto che per i polacchi tutti i profughi sono altrettanto degni di compassione e aiuto. Egli, infatti, non fa differenza tra i rifugiati dall’Ucraina sotto le bombe, e quelli provenienti dall’Asia e dal Medio Oriente che cercano di attraversare il confine che divide la Polonia dalla Bielorussia. Sin dall’inizio della crisi alla frontiera con la Bielorussia, per il presidente dei vescovi polacchi mons. Stanisław Gądecki i migranti “che vi soffrono e muoiono” sono “vittime di inammissibili giochi di politica internazionale”. Il presule ha sottolineato più volte che “indipendentemente delle circostanze del loro arrivo” che i migranti “hanno bisogno di un sostegno spirituale e materiale” incoraggiando raccolte fondi organizzate presso tutte le parrocchie della Polonia, e ispirando la Caritas polacca ad aprire, al limite della zona frontaliera con la Bielorussia, delle “tende della speranza” dove i volontari cercano di aiutare i bisognosi. Ma il muro continua a crescere.

Alto 5,5metri e lungo quasi 200 km (circa la metà della estensione totale della frontiera polacco-bielorussa) dovrebbe essere ultimato entro la fine del giugno

(Foto ANSA/SIR)

prossimo. In cima sarà rifinito con il filo spinato ma verrà anche munito di un costoso e modernissimo sistema di monitoraggio elettronico che permetterà una vigilanza costante sia di giorno che di notte.  Dall’inizio del mese di settembre 2021 le autorità polacche hanno imposto un quasi totale divieto di accesso alla zona larga dai 5 ai 30 km lungo il confine con la Bielorussia che dovrebbe restare in vigore fino a luglio prossimo, esclusi solo i residenti e coloro che svolgono all’interno della zona frontaliera una regolare attività economica.

(Foto ANSA/SIR)

Un divieto che al momento riguarda anche le Ong, tutte le organizzazioni umanitarie, la Caritas e anche i giornalisti. Impossibile quindi poter prestare aiuto ai migranti, bisognosi di tutto, tutt’ora ancora presenti al confine e lasciati al freddo e alla fame tra boschi e palude. A volte gli abitanti della zona di frontiera, inaccessibile agli estranei cercano, di nascosto dalle guardie, di offrire ai migranti qualche bene di prima necessità o qualche piatto caldo. A volte le stesse guardie, commosse dalla misera sorte dei profughi, offrono loro un qualche sostegno, nonostante tale comportamento costituisca una grave violazione del regolamento. Tali aiuti occasionali però non possono sostituire le cure mediche e il soccorso umanitario regolari di cui i disperati hanno davvero un grande bisogno.
Non si sa quante decine di questi profughi, verosimilmente portati alla frontiera su ordine dei responsabili politici della Bielorussia e della Russia, siano morti a causa di malattie e di stenti. Secondo i comunicati della guardia di frontiera polacca ogni giorno un gruppo di migranti tenta di attraversare il confine tra Polonia e Bielorussia e ogni giorno le forze polacche li respingono oltre il confine, o piuttosto verso il lembo di quella terra di nessuno, dove i disperati sono lasciati a sé stessi.
Situazione diversa si registra invece lungo l’altro tratto del confine all’est della Polonia, quello con l’Ucraina che è lungo 530 km. Dal 24 febbraio scorso, giorno dell’invasione russa, in un solo mese di guerra i rifugiati dall’Ucraina approdati in Polonia sono circa 3 milioni. La maggior parte di loro vogliono rimanere vicini al proprio paese. Più che l’80% sono donne con bambini che hanno lasciato i propri padri, mariti e fratelli a combattere, e fra questi più di 700 mila sono bambini in età scolare che devono al più presto tornare allo studio.

(Foto: Caritas Italiana)

Come ha affermato di recente il ministro polacco dell’istruzione, presso le scuole polacche di vario ordine e grado, sono stati iscritti già oltre centomila studenti ucraini. Il loro numero cresce ogni giorno, in misura dell’efficienza dell’amministrazione pubblica che rilascia ai rifugiati un numero identificativo personale (Pesel), una sorta del codice fiscale italiano, che permette di lavorare e da l’accesso ai sostegni e alle agevolazioni previste per i profughi.
Il plesso scolastico a Lubaczów, nel sud-est della Polonia, a 10 km dal confine con l’Ucraina, già nel 2014 ha avviato la cooperazione tra giovani polacchi e ucraini. “Oggi, per gli studenti che avevano perso la loro casa in Ucraina il collegio di Lubaczów è diventato un rifugio, e la comunità scolastica quasi una famiglia adottiva che li protegge”, dice al SiR Agnieszka Dobrowolska, che insieme a Łukasz Paprotny, direttore dell’Istituto Polacco di Roma promuovono una raccolta fondi per agevolare l’acquisto dei libri e dei beni di prima necessità, il finanziamento della mensa, e delle piccole spese personali di alcune decine di studenti ucraini accompagnati al collegio dalle loro madri ma poi rimasti soli poiché i genitori combattono al fronte. “Tutti – incoraggia Dobrowolska – possono partecipare all’iniziativa, basta che digitino sui loro computer l’indirizzo https://instytutpolski.pl/roma/2022/03/15/noi-ragazzi-di-frontiera, dove abbiamo inserito, oltre alla descrizione dettagliata della nostra iniziativa, anche un filmato con i ragazzi ucraini e polacchi”. Ma tutta la Polonia è ormai la seconda casa di numerosi rifugiati ucraini. Molti di loro erano alla principale stazione ferroviaria a Varsavia per salutare il presidente americano Joe Biden arrivato in Polonia il 25 marzo. A confermarlo i numerosi volontari che da giorni ormai operano lungo i binari e nelle vaste sale d’attesa della stazione per assistere, sostenere, confortare i profughi che scendono stremati dai treni spesso dopo aver visto morire i primi cari e solo con ciò che indossano o con una valigia nel migliore dei casi. Molti fra i rifugiati della “prima ondata” avevano parenti, amici o conoscenti in Polonia o in un qualche altro paese europeo. Adesso arrivano quelli che hanno provato a resistere, che non conoscono nessuno, soli, non di rado disabili, che non sanno dove andare. A volte non hanno neanche il coraggio di chiedere aiuto.
Il presidente Usa avrebbe espresso l’intenzione di accogliere negli States anche 100 mila profughi dall’Ucraina ma neanche questo potrà bastare. L’ondata di commossa empatia che in questo primo mese di guerra ha mobilitato migliaia di polacchi potrebbe dare l’impressione che la Polonia abbia la possibilità di fare molto di più di quanto sia realmente capace. L’ondata di profughi provenienti dall’Ucraina riapre però in maniera irreversibile per l’Europa la questione relativa all’accoglienza dei profughi, senza distinzione di razza o nazionalità. Sostenere la Polonia in questo sforzo è doveroso così come lo è per tutti quei Paesi da anni sono impegnati sul fronte dell’accoglienza di migranti in fuga da guerre e carestie, Il problema è europeo e non può più essere rimandato o evitato. Doveroso quindi per l’Unione europea sostenere con ogni mezzo un prolungato soggiorno ai profughi sia ucraini che di altre nazioni che presto potrebbero diventare ancora più numerosi per garantire il loro inserimento nel tessuto economico e culturale della Polonia e elle altre nazioni europee che non sarà essere né facile né rapido.

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