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Mons. Aldo Giordano: ovunque metteva in atto la cultura del dialogo e dell’incontro

Quest’anno, era tornato in Europa come nunzio apostolico presso l’Unione europea ed eravamo pieni di speranza per quanto avrebbe potuto fare. Ma Dio ha trovato che aveva già faticato abbastanza e ha voluto dargli riposo. A noi amici, alla Chiesa in Europa e all’Europa mancherà tantissimo. Ci tocca adesso la responsabilità di mantenere viva la sua eredità spirituale e di lavorare perché l’Europa diventi un’esperienza di unità e di fede  

Mons. Aldo Giordano (Foto ANSA/SIR)

Mons. Aldo Giordano che ci lascia così presto, è stato un vero Cristiano europeo, ossia un Europeo veramente cristiano. Non ho nessun dubbio che il suo grande amore era Gesù e che ha dato la sua vita per amore alla Chiesa, ma è altrettanto vero che quest’amore lo portava ad amare veramente l’Europa: le persone, le nazioni, la cultura e la storia di questo Continente. Profondamente realista, mai sottomesso al pessimismo o alla sconfitta, si era impegnato a lavorare per un’Europa nuova che lui credeva essere possibile. Come lui soleva dire, la Chiesa guarda la Grande Europa, ossia tutti i Paesi che sono in quest’area geografica e che lui ha visitato e conosciuto, con preoccupazione ma anche con speranza. La sua era una speranza realista perché radicata nella fede e nei rapporti da lui coltivati con le persone che aveva conosciuto in diverse occasioni e di chi era diventato amico.

Un segno chiaro della sua personalità da tutti riconosciuto, in Europa, ma poi anche in Venezuela, dove è stato nunzio apostolico (2013-2021), è stata la sua indomabile volontà di promuovere il dialogo. Per questo era necessario spendere tempo ed essere creativi. Mons. Aldo Giordano era uno che non risparmiava sforzi personali e sapeva mettere le persone ma anche le Chiese e le istituzioni in dialogo. Prima nel Ccee come segretario generale (1995-2008) e poi come osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa (2008-2013), ha cercato sempre di portare Cristo all’Europa attraverso l’incontro di persone.

Ha lavorato molto per costruire reti dove ci si poteva incontrare e pensare insieme cammini comuni. Nel Ccee ha, prima di tutto, cercato di far nascere, mantenere forti o sviluppare i rapporti interni alla Chiesa cattolica in Europa ma anche con i vescovi di altri continenti. Ma la sua sensibilità e la sua fede guardavano oltre la vita della Chiesa cattolica. A lui si deve tantissimo nei rapporti con le altre Chiese cristiane in Europa. Lui sognava l’unità piena della Chiesa. È stato in gran parte grazie a lui che due delle Assemblee ecumeniche europee (Graz 1997 e Sibiu 2007) si sono potute realizzare e che si è potuto arrivare alla firma della Carta Ecumenica nel 2001. Oltre a questi due grandi eventi, tanti altri incontri ecumenici, specialmente con la Cec (Conferenza delle Chiese europee), sono stati da lui preparati con cura e saggezza, che sono le virtù proprie di chi sa che l’unità della Chiesa è una missione che non può essere mai trascurata o abbandonata. Possiamo dire che mons. Aldo è un riferimento definitivo e chiarissimo per il cammino ecumenico europeo.

La sua volontà di dialogo andava, però, oltre le frontiere cristiane. La sua sensibilità religiosa di uomo di preghiera lo portava a sentire le preoccupazioni umane di tutti. Con quella simpatia umana che era evidente in lui, sentiva come sue le difficoltà delle persone che soffrono. Era cosciente che la cultura europea stesse perdendo il rapporto con le sue radici e che a causa di ciò, le persone oggi si sentono spesso smarrite in ricerca di chi sono. Proprio per questo, ha cercato di portare delle proposte buone al cuore di chi si ritrovava accanto nella vita. Sapeva valorizzare tutto quanto di buono e vero trovava nelle persone di altre religioni e anche in chi non professa nessuna fede ma ha un cuore aperto e disponibile al dialogo. Nel suo lavoro con i politici ed i funzionari del Consiglio d’Europa, metteva in atto la cultura dell’incontro. Le cene che organizzava a casa, oppure, le messe che celebrava nella nunziatura di Strasburgo, e alle quali invitava gente di diversi Paesi per promuovere forme d’incontro, sono diventate famose e sono sicuro che hanno portato tanti frutti.

Quest’anno, era tornato in Europa come nunzio presso l’Unione europea ed eravamo pieni di speranza per quanto avrebbe potuto fare. Ma Dio ha trovato che aveva già faticato abbastanza e ha voluto dargli riposo. A noi amici, alla Chiesa in Europa e all’Europa mancherà tantissimo. Ci tocca adesso la responsabilità di mantenere viva la sua eredità spirituale e di lavorare perché l’Europa diventi un’esperienza di unità e di fede.

 (*) segretario generale del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccce) dal 2008 al 2018

 

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