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Manuel Barrios Prieto (Comece): “Solidarietà è la parola chiave per uscire dalla crisi”

Si è conclusa l’Assemblea plenaria dei vescovi delegati delle Conferenze episcopali dell’Unione europea con la partecipazione del vicepresidente della Commissione europea, Margaritis Schinas. Molti i temi affrontati nel corso di un colloquio di oltre un’ora e che stanno particolarmente a cuore all’episcopato cattolico dell’Ue: ripresa dopo la pandemia Covid-19, distribuzione e controlli sui vaccini, politiche di migrazione e asilo, libertà di religione e culto. I vescovi guardano con preoccupazione alla tentazione dei singoli Paesi di chiudersi in se stessi e ribadiscono: “solidarietà” sarà la parola chiave per vincere questa battaglia e uscire dalla crisi

Soprattutto in tempi di crisi, è altissima la tentazione dei Paesi di chiudersi in se stessi e pensare solo ai propri interessi. Ma “solidarietà” sarà la parola chiave per vincere questa battaglia e uscire dalla crisi. Sono i vescovi dell’Unione europea a ribadirlo in assemblea plenaria. L’incontro – che è tenuto in forma digitale dal 17 al 18 marzo con i delegati delle Conferenze episcopali dell’Unione europea – si è aperto con la partecipazione del vicepresidente della Commissione europea, Margaritis Schinas. Oltre un’ora di colloquio dove si è parlato di ripresa dalla pandemia Covid-19, di politiche di migrazione e asilo, di libertà di religione e culto nell’Ue. “Abbiamo visto il desiderio da parte di Schinas di incontrarsi con i vescovi e non fuggire da temi complicati ponendoli tutti sotto il principio della solidarietà”, racconta al Sir padre Manuel Barrios Prieto, segretario generale della Comece. “Solidarietà nella gestione e distribuzione dei vaccini; solidarietà nel campo delle migrazioni; solidarietà nell’affrontare l’impatto socio-economico della crisi del Coronavirus. Anche il commissario Schinas ci ha espresso il desiderio di volere un dialogo tra le Chiese e le Istituzioni dell’Ue non plateale e generico ma centrato sulle politiche europee e aperto al contributo morale ed etico che le Chiese possono concretamente dare, come previsto dall’articolo 17 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue)”.

I Paesi dell’Unione Europea sono alle prese con lo sforzo di contenere l’epidemia. Una battaglia che purtroppo si è scontrata in queste ore con l’incertezza dei vaccini di AstraZeneca e la sospensione delle somministrazioni in vari Paesi. Ne avete parlato?

Il commissario ci ha parlato della strategia europea dei vaccini, della serietà della proposta europea, e quindi dei controlli. Credo che in questo contesto difficile in cui ci troviamo, bisogna avere fiducia che le cose siano fatte bene, che i controlli siano seri e che i vaccini rispettino tutte le procedure di controllo e produzione. Siamo tutti preoccupati ma non dobbiamo perdere la speranza che le cose miglioreranno presto. Se avessimo dovuto affrontare questa crisi da soli, ogni paese per conto suo, certo le cose sarebbero molto peggio. Il fatto che ci sia l’Europa, che ci sia questo ambito di solidarietà e confronto comune, è un’ancora di salvezza.

Con la vaccinazione, i Paesi europei stanno entrando in una fase delicatissima. Tutti sperano che porti presto ad uscire da questa crisi. Cosa temete di più? Quali errori evitare?

Il cardinale Hollerich, presidente della Comece, aprendo l’assemblea, ha fatto un bellissimo discorso elencando anche i rischi che l’Europa può incorrere. Tra i pericoli, emergeva soprattutto la tentazione di chiudersi in se stessi. Di cercare di salvarsi ognuno per conto suo. È la grande sfida da affrontare nei momenti di paura e incertezza.

E come stanno reagendo, a vostro parere, l’Unione europea e gli Stati membri?

Abbiamo l’impressione che ancora non si sia del tutto capita la lezione durissima del Covid che da soli non si salva nessuno. Ci sono ancora tendenze egocentriche che preoccupano, anche perché in situazioni di crisi, si tende a proteggere e a pensare prima a se stessi. Sulla vicenda AstraZeneca, i paesi hanno bloccato la vaccinazione in momenti diversi e non con un accordo generale in tutta l’Europa. Solidarietà e unità saranno i due principi base per uscire da questa crisi nel miglior modo e il prima possibile. Questo non riguarda solo i vaccini, ma vale anche per la ripresa economica, per l’occupazione, per la cura delle fasce più vulnerabili. La solidarietà è destinata quindi a diventare un tema chiave dei prossimi mesi.

In questa situazione di Covid, è passata in secondo piano l’emergenza migrazioni. Voi, vescovi europei, ne parlerete. Cosa vi preoccupa e cosa chiedete?

(Foto Vatican Media/SIR)

Nel settembre scorso la Commissione europea ha presentato il nuovo patto su asilo e migrazione, un atteso pacchetto di misure per la riforma della politica europea per il superamento anche del cosiddetto sistema di Dublino. La proposta si fonda su tre pilastri principali: proteggere le frontiere; sostenere i paesi di origine perché crescano e si sviluppano in modo da impedire ai giovani di dover cercare altrove un futuro possibile; avviare un meccanismo di solidarietà secondo il quale i paesi di primissima accoglienza non siano lasciati soli nel portare tutto il peso degli arrivi, come Spagna, Italia e Grecia.

In Assemblea, parlerete anche di “libertà di religione”. A cosa fate riferimento?

È la questione che tutti abbiamo vissuto in questo tempo di lockdown della impossibilità di celebrare i culti in luoghi pubblici a seguito delle misure anti Covid prese nei diversi Paese, talvolta senza un dialogo vero con la Chiesa. Abbiamo cioè avuto l’impressione di vedere compromesso il diritto alla libertà religiosa e l’esercizio di questa libertà. Ma se si scava più a fondo su questa vicenda, notiamo che in Europa il vissuto religioso viene posto ad un lato o dimenticato o a volte addirittura disprezzato rispetto ad altri diritti. I vescovi tengono quindi necessario far capire che la religione non è qualcosa del passato, ma una presenza viva oggi che contribuisce al bene comune delle nostre società. Ci sono stati anche  alcuni eventi che hanno allarmato i vescovi, come la proposta di legge in Danimarca sulla traduzione al danese delle omelie e dei sermoni. Si tratta forse di una norma più diretta alle comunità islamiche ma chiedere ai nostri preti o ai ministri di culto di tradurre le loro omelie, è una evidente intromissione nella libertà religiosa. Se in Europa si perde la consapevolezza di cosa è la vita religiosa, rinuncia ad una parte importante della sua storia e ad una linfa vitale che l’attraversa e l’arricchisce ancora oggi.

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