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Romania “Paese credente”? In un sondaggio lo stato di salute della vita di fede

Un'ampia indagine realizzata da tre istituzioni nazionali mette in luce il rapporto tra fede e realtà civile e sociale. Cresce la fiducia nelle Chiese. Sì alla preghiera individuale ma modesta frequenza alle funzioni religiose. Il peso dei mass media e della politica. Buono il rapporto con lo Stato nell'adozione di misure volte a contenere la pandemia Covid-19. La parola a due vescovi e al segretario di stato per i culti

(Foto Vatican Media/SIR)

Che la Romania sia un “Paese credente” non è più un detto ma – a quanto pare – un dato di fatto. Lo sostiene un “barometro” della vita religiosa presentato a Bucarest nell’aula magna dell’Accademia di Romania. Il sondaggio è stato realizzato in collaborazione fra tre istituzioni romene: il Centro di ricerca sociologica Larics, il Segretariato di Stato per i culti del Governo romeno e l’Istituto di Scienze politiche e relazioni internazionali dell’Accademia di Romania.

Più fiducia nella Chiesa. Nei sondaggi realizzati negli ultimi anni, i romeni hanno messo sempre la Chiesa tra le prime istituzioni che danno fiducia. Un confronto tra i risultati del nuovo sondaggio con uno studio realizzato nel febbraio del 2019, dall’Istituto nazionale di statistica, rileva un aumento considerevole della fiducia nelle Chiese: se l’anno scorso l’istituzione-Chiesa era al secondo posto, dopo l’esercito, con il 54,5% delle preferenze multiple, dall’attuale barometro risulta ora una fiducia del 71,2%. Secondo mons. Cornel Damian, vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Bucarest e presidente della Commissione giuridica della Conferenza episcopale romena, l’aumento della fiducia è collegato all’emergenza dovuta alla pandemia. “In questo tempo difficile, la Chiesa ha cercato di essere vicina ai fedeli, alla gente… La disponibilità dei sacerdoti, l’impegno dei volontari, le preghiere, per i defunti a causa del Covid e i loro parenti, e anche per le persone impegnate in prima linea contro la pandemia hanno contato tanto. Poi, sono stati gli interventi di Papa Francesco che hanno avuto eco anche nel nostro Paese, benché sia a maggioranza ortodossa: l’immagine del Papa, solo in una piazza vuota, nella pioggia, portando non soltanto il peso degli anni, ma anche della situazione che l’intero mondo sta attraversando ha toccato il cuore di tanta gente”.

Sì alle preghiere, poca liturgia. Sembra un paradosso: il 90% dei romeni si sono dichiarati credenti, il 68% prega ogni giorno, però solo il 36,1% va in chiesa ogni settimana e il 56,9% una volta al mese oppure occasionalmente. “Con la pandemia, il numero dei fedeli che partecipano alla messa in chiesa è diminuito tanto. Vari mezzi di comunicazione trasmettono le celebrazioni in tv, alla radio o su internet, e la gente, sia per prudenza sia, già, per abitudine, preferisce la partecipazione remota. Eppure la fede cristiana si vive in comunità e la partecipazione ai sacramenti è essenziale. Questo lo ricordiamo spesso”, spiegato al Sir mons. Damian.

L’attuale scarsa frequentazione delle chiese si aggiunge a una pratica ereditata dai tempi del comunismo,

considera mons. Virgil Bercea, vescovo greco-cattolico di Oradea Mare e presidente della Commissione per i laici nella Conferenza episcopale. “I fedeli evitavano di andare in chiesa, temevano di essere spiati, e allora tanti si sono fatti una ‘chiesa nell’anima’. E questa situazione è stata uguale per tutti. Poi, i tempi sono cambiati, ma i mutamenti da noi sono stati molto più rapidi rispetto all’Occidente, con il concorso dei mass-media: l’allontanamento dalla pratica religiosa, che in occidente si è prodotto in 50 o 70 anni, si è diffuso in Romania molto più velocemente”.

Insegnamento religioso, impegno sociale. Il barometro ha rilevato anche che per i romeni la religione è molto importante per la propria vita (85,8%), che i genitori di chi ha risposto al sondaggio sono stati credenti (93,6%), che gli adulti vogliono che ai loro figli sia insegnata la religione a scuola, come materia obbligatoria (72,8%) oppure dietro richiesta espressa dei genitori (22,3%). In più, i rispondenti considerano che in Romania le relazioni tra i vari culti sono buone e molto buone (78%), e sono d’accordo sul fatto di abitare vicino a persone di altre religioni (93,6%) oppure che i loro figli sposino partner di altra confessione o religione (78,9%).

Vorrebbero inoltre che le Chiese si impegnassero di più nella vita sociale (92,8%), nel campo sanitario e dell’educazione (75,5%).

“La separazione tra la Chiesa e lo Stato è molto importante, e nello stesso tempo è importante che la politica non interferisca nella vita della Chiesa e neanche che la consideri marginale, qualcosa che appartiene alla sfera privata delle persone”, afferma mons. Bercea, commentando i risultati del barometro. Riferendosi poi all’ambito sociale, aggiunge che “la Chiesa cattolica ha sviluppato non solo una dottrina sociale, ma anche un’importante attività sociale, in tutto il mondo e in Romania. E adesso anche i fratelli ortodossi hanno cominciato a sviluppare opere sociali, ed è molto bene che siano entrati in questo campo. Ci sono sacerdoti ortodossi che hanno fatto cose straordinarie nell’ambito sociale e nel campo dell’educazione”.

Attacchi dai media e dai politici. “In questo periodo, i culti, e specialmente la Chiesa ortodossa sono stati sottoposti ad attacchi di una tossicità sbalorditiva”, ha affermato Victor Opaschi, segretario di stato per i culti, presentando i risultati del barometro e facendo riferimento al periodo della pandemia. E la percezione popolare è che i mass-media presentano la Chiesa in maniera negativa (46,5%), sia esagerando alcuni problemi nell’attività quotidiana delle Chiese (47,3%) sia perché gran parte dei giornalisti e dei formatori di opinione non sono credenti (15,9%). “Apprezzo tanto il lavoro dei media e dei giornalisti, in genere – commenta mons. Bercea –. Possono fare tanto bene, ma nello stesso tempo possono fare anche tanto male, estrapolando certi fatti negativi e accentuandoli”. E la Chiesa subisce attacchi anche dalla classe politica, ma questo fatto è visto dal 36% dei romeni come qualcosa di normale in democrazia.

Libertà religiosa e pandemia. Come in tutti i Paesi, la pandemia ha avuto conseguenze sulla vita delle Chiese della Romania e le autorità hanno preso varie misure per evitare il più possibile la diffusione del contagio: le celebrazioni sono state ristrette a un certo numero di fedeli oppure spostate su internet e televisione, è stato inserito l’obbligo della mascherina e della distanza sociale nei luoghi di culto. Le Chiese hanno assecondato, in genere, le autorità, eppure una parte dei romeni ritiene che lo Stato ha violato la libertà religiosa (47,3%). “È vero che ci sono stati casi isolati di abusi da parte delle autorità dello Stato, ma in tutto questo periodo si è sviluppato un permanente dialogo tra il Governo romeno e le Chiese”, spiega mons. Damian. Il segretario di stato Opaschi presentando il barometro ha spiegato che “le varie misure adottate durante la pandemia, riguardanti le libertà di religione, sono state fatte in base a un discernimento tra la sensibilità della gente e la gravità della situazione”.

Metodologia della ricerca. Il barometro sulla vita religiosa della Romania è il primo studio del genere realizzato negli ultimi anni. Al questionario telefonico, realizzato tra 30 novembre e 7 dicembre, hanno risposto mille persone – un campione considerato rappresentativo per la popolazione della Romania –, con età di 18 anni e oltre. L’indagine si è svolta in tutte le provincie della Romania e il campione è stato validato secondo i dati ufficiali dell’Istituto nazionale di statistica.

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