Domenica 10 settembre

Amare vuol dire correggere, custodire, accompagnare, ricercare la verità nella carità senza infingimenti e sconti. Diversamente significa assecondare capricci, coprire ferite senza curarle, far finta di non vedere i rischi di scelte sbagliate per non compromettersi. Contro questa deriva Gesù propone una vera e propria “pedagogia della correzione fraterna”.

Anzitutto il Signore ci chiede di non confondere il ruolo della “sentinella” che avverte, richiama, esorta, raccomanda, con la funzione del giudice che emette la sentenza di condanna. Davanti al peccato che minaccia l’uomo il cristiano non deve tacere per paura di farsi dei nemici ma non deve neanche falsificare o addolcire l’annuncio del Vangelo trasformandolo in un giudizio di rimprovero contro tutto e tutti.

In un mondo in cui spesso ci troviamo circondati da incomprensioni, conflitti e divisioni, dove la gentilezza e la comprensione sembrano risorse sempre più rare, la correzione fraterna emerge come un gesto di amore autentico e di preoccupazione sincera per il bene dell’altro. Essa richiede, pertanto, umiltà e desiderio di “fraternità”. Prima di offrire una correzione, infatti, esaminiamo il nostro cuore e le nostre intenzioni e chiediamoci se agiamo per amore e con il desiderio sincero di aiutare l’altro a migliorare, o piuttosto per sentirci superiori e dar sfogo alle nostre frustrazioni.

La correzione fraterna dovrebbe essere guidata sempre dall’amore e dalla compassione e avvenire in un contesto di fiducia e stima reciproca. Scegliamo il momento giusto e il luogo appropriato per condividere le nostre preoccupazioni. Parliamo con gentilezza, ascoltiamo con attenzione, pronti ad accogliere le reazioni dell’altro. Chi vuole correggere deve mettersi dalla parte dell’altro, non contro l’altro. L’obiettivo non è imporre la nostra opinione, ma creare uno spazio di dialogo aperto in cui entrambi possiamo imparare e crescere.

Ecco perché la “correzione fraterna” nella logica del Vangelo è strettamente legata alla comunità e a quello “spazio di verità” costituito dalla preghiera fraterna che vi viene presentato da Matteo con la bellissima immagine della ritrovata concordia (in greco è usato il termine synphonia) che consente di pregare con la certezza di essere ascoltati perché in mezzo agli oranti riconciliati c’è il Signore.

Synphonein, tradotto con accordarsi, non significa mettersi d’accordo per dire la stessa preghiera, ma riconciliarsi per poter pregare, perché senza riconciliazione non è possibile pregare. Quella di Matteo è una comunità che ha ritrovato le ragioni profonde della riconciliazione. Se due o tre si riconcilieranno e troveranno il modo di stare insieme nonostante le tensioni e i conflitti, “io sono in mezzo a loro“. La liturgia è il punto di arrivo di questa opera di riconciliazione e nella liturgia è presente il Signore; perciò questa preghiera è accolta. È una bella immagine di Chiesa, fatta non solo di regole, discipline, norme, ma di umanità e fraternità. Il centro è una comunità di fratelli e sorelle che continuamente, con fatica, ritrovano le ragioni dello stare insieme e perciò possono pregare, intercedere, domandare, costruire, sapendo che il centro (“in mezzo”) è il Signore.