Domenica 6 agosto – Trasfigurazione

L’evento della Trasfigurazione viene introdotto da un versetto, Mt 16,28, che lo lega al Regno di Dio ormai manifesto:

In verità vi dico: vi sono alcuni tra i presenti che non morranno finché non vedranno il Figlio dell’uomo venire nel suo regno.

Dobbiamo a Origene l’identificazione del monte con il Tabor che svetta dalla pianura di Izreel. Nel Vangelo il nome del monte non è indicato, non bisogna  osservare una mappa, puntare il dito dicendo: qui la Luce!.

La mancata identificazione geografica è voluta perché lo sguardo si sposti, si concentri sull’esperienza spirituale che si manifesta come esperienza pasquale.

La presenza dell’Altissimo nella storia dell’umanità, dove ha fatto irruzione con la sua Parola ora diventa luce di gloria che si irradia su Gesù al centro fra Mosè ed Elia.

Ognuno con la missione che il Padre ha loro, in modo specifico, unico ed originale, donato ed assegnato in quel grande e misterioso disegno di salvezza che coinvolge ogni essere umano, lo sappia o non lo sappia e, perfino, lo voglia o non lo voglia.

Non perché sia un’imposizione da cui è impossibile sfuggire o sottrarsi ma perché supera tutto e tutti Colui che è il Misericorde e trova il modo di indurre a guardarLo e riconoscerLo come Padre. Anche, o forse soprattutto, chi nel cammino terreno non lo ha riconosciuto ed accolto. Cammino però sorretto da tutti i credenti che desiderano solo l’unità di ognuno in Lui.

Gli altri tre, Pietro, Giacomo e Giovanni, stupiti dinanzi alla teofania, al Dio che si fa vicino e si mostra in una luce abbagliante, si spaventano e cadono a terra.

M. Martini commenta: “L’apparizione di due personaggi, come Mosè ed Elia, completamente fuori del contesto storico, è propria soltanto di questo racconto evangelico; quasi ad insegnarci che siamo davvero in un’anticipazione dell’éscaton, della fine, quando tutti i tempi si riuniranno. Mosè ed Elia, cioè la Toràh e i profeti, tutta la tradizione del dono di Dio e dell’accompagnamento che Dio ha fatto del suo popolo… In maniera iconica, nel nostro brano si parla di Gesù come adempimento della legge (Mosè) e dei profeti (Elia): legge e profeti portano alla centralità di Gesù, alla rivelazione del Figlio. Chi ha interiorizzato Mosè e i profeti, vede la luce del Figlio”.

Quando la Luce, la gloria, non abbaglia più e svanisce, Gesù è solo, lo splendore della gloria luminosa lo ha abbandonato, si ritrova in quella condizione umana che ha accettato nel volere del Padre per salvare tutti noi, “senza le vesti candide come la luce”. Abbandono che prelude la salita a Gerusalemme nella piena e decisa coscienza di affrontare la sua passione.

Il dono a noi offerto è proprio quello della Luce, della gloria, in cui possiamo contemplare Mosè ed Elia uniti a Cristo in una sola splendente Luce.

Il silenzio imposto ai discepoli possiede anche una valenza di custodia: non hanno ancora capito, bisogna attendere che, sulla Luce del Tabor, si irradi la Luce del Golgota e la Luce dall’Anastasis, del Risorto, tutto Luce.

Proprio nella Luce della Trasfigurazione si fonda e si radica la nostra speranza che attende il ritorno del Cristo glorificato.

Gesù che si trasfigura rende per noi ancora più credibile la Parola dei profeti, nel passato accolto e nostra radice, nel futuro attesa e nostra esplosione di gioia e di gratitudine.

La Parola quindi è dono di Luce per noi, tutta la Parola che aprirà e segnerà il nostro passo andando incontro a quel giorno che denominiamo il Giorno, in cui la Luce non smetterà mai di risplendere.