Domenica 23 luglio

Il modo di trasmettere la buona notizia – Egli stesso testimone!- nella forma della parabola riporta alla luce quanto da secoli era intriso nella Parola donata a Israele. Il verbo che Matteo sceglie è indicativo: Gesù propose.

Non è un verbo inedito perché nella Torah si trova in Es 19,7 e Dt 4,44. Mosè appunto propone la Legge.

Ecco allora stagliarsi i principi del Regno di Dio: proprio la zizzania introduce in questa realtà.

Chiunque, anche se vive in città e può coltivare solo qualche pianta su di un terrazzo, conosce le erbacce che impediscono la crescita della pianta e la soffocano.

Non è il vento, non è qualche animaletto che introduce la zizzania nel campo ma proprio il nemico, per di più di soppiatto, nottetempo.

Ed è bene informato: la zizzania possiede radici forti che si intrecciano con quelle del grano. Semplice quindi: strappare la zizzania e svellere le radici significa strappare e svellere pure il grano.

Ne consegue che il bene, il grano, convive con la zizzania, il male.

Perché mai? Non sarebbe più diretto impedire al nemico di agire?

Sfioriamo così il grande mistero della libertà che l’Altissimo ha donato alla creatura modellata con l’argilla soffiandone l’alito vitale.

Gesù invita all’attesa, non vuole che si agisca subito. Il regno quindi, nella sua concretezza, è regno in cui bene e male vivono l’uno accanto all’altro.

La parabola della farina è proprio sconcertante: verificati i calcoli ci troviamo dinnanzi a ben 42 chili di farina… E il lievito? Quel che si dice un …pizzico.

Eppure sarà proprio questo pizzico a far lievitare l’enorme massa. La mano della donna lo introduce, il verbo greco però suona occultò, quindi fa leva su di un’azione celata, pari a quel gesto notturno del nemico, tuttavia con esiti ben diversi.

Ritorna l’accento sull’attesa: saper aspettare.

Il Regno poggia su quanto è piccolo, non appariscente, ma porta inciso su di sé il sigillo di Gesù: la sproporzione è evidente, l’esito però sta dalla parte di Gesù che non vuole restaurare, riportare a gloria, reale o presunta, il regno di Israele. Non è il regno terreno quello che conta, la provocazione è evidente: l’Altissimo non cessa di dimorare nella storia dell’umanità e di servirla ma sempre con mezzi non appariscenti e consegnati alla libera adesione di chi vuole e si sente suo testimone.

Non è quello di Ez 17,23 in cui domina il cedro nella sua maestosità in un rigoglioso bosco, possiede un altro volto: un piccolo albero di senape.

Solo su questo alberello si poseranno gli uccelli, cioè i pagani che scorgeranno in questa modesta proposta la grandezza del Regno.

Quindi grandezza e potere non possono avere accesso ad un regno che non vuole assumere toni trionfalistici degni di un Impero.

Supera ogni ostacolo- la zizzania- chi a Lui si affida nell’attesa

Il segreto del regno scalza ogni imperialismo, ogni potere, si rivolge a tutto il mondo, solo con il pizzico!

Chi vuole essere figlio di Dio, si occupi del regno di Dio, così come Dio stesso lo ha annunciato attraverso il suo Cristo, il suo Messia: le beatitudini messe in pratica.

La Chiesa vivrà sempre la tensione fra il bene e il male ma avrà sempre la grande possibilità di testimoniare, di diventare martire, perché vive nella libertà l’adesione al Dio povero e umile, non ricco e potente.

Potere, arroganza, ambizione, prestigio saranno bruciati, mentre chi opera il bene, chi serve i fratelli, chi si spende per la pace e riconosce il Signore Gesù, sarà giusto e risplenderà nel regno dei cieli.