Domenica 26 marzo – V di Quaresima

Il tempo del Vangelo di Giovanni giunge alla soglia dell’ora di Gesù in questa quinta e ultima domenica di Quaresima. Ed ecco l’ultimo dei sette “segni” posti dal Signore a scandire il ritmo di un Verbo che, dal miracolo dell’acqua tramutata in vino, nel banchetto di Cana in Galilea, si fa Carne affatto esplicita della Sua ora nella morte e resurrezione di Lazzaro. Ma, come è tipico del quarto evangelista, questa rivelazione avviene per mezzo di un copione colmo di parole in dialogo e il racconto è così pieno di dettagli che a chi ascolta sembra di stare sulla scena. “In quel tempo, un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli”. Pur non avendo mai parlato sinora della casa di Betania, Giovanni dà per scontato che il lettore la conosca. In effetti ne abbiamo sentito parlare da Luca alla cui tradizione sembra qui assumere Giovanni fondendo, peraltro, due momenti distinti del terzo Vangelo (cf Lc 10,38-42 e Lc 7,37). Pur non essendo la stessa donna, la prostituta che Gesù incontra – in Luca – nella casa di Simone il Fariseo, viene identificata con Maria sorella di Marta che, qui di seguito, bagnerà di profumo i piedi di Gesù ungendoli per la sua sepoltura (cf Gv 12,3.7). Quel che interessa ad ambedue i Vangeli è il gesto che queste donne compiono. “Suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dire a Gesù: ‘Signore, ecco, colui che tu ami è malato’. All’udire questo, Gesù disse: ‘Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato’. Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro”. Novità di Giovanni è la figura di Lazzaro che viene presentato come il fratello delle due donne di Betania, purtroppo gravemente malato. Come è accaduto per il cieco nato Gesù porta ancora su quella malattia – presunto effetto di una “colpa” di Lazzaro – la luce di un’occasione perché la Gloria di Dio si manifesti (cf. Gv 9,2-3). Ma qui la forza di quella manifestazione è resa, a sua volta, luminosa e non sta più nella saliva con cui il Figlio dell’Uomo, impastato il fango della terra, aveva unto gli occhi del cieco, ma nell’unica ragione dell’amore. Quel che accadrà al corpo malato e, infine, al cadavere di Lazzaro, sarà frutto dell’amore di chi ha detto di sé stesso: “Io sono la luce del mondo” (Gv 8,12) e di chi viene a ripetere che sono le ore del giorno quelle in cui si possono compiere opere di vita (cf Gv 9,4-5). Vita e luce combaciano sia per il cieco nato sia per Lazzaro che, proprio quando il sepolcro gli avrà rubato ormai da quattro giorni, la luce, egli la ritroverà per via di quell’amore che lo riporterà di nuovo alla luce per poter vedere la Gloria della Resurrezione. Giovanni non risparmia di far notare l’incredulità dei discepoli di Gesù, in particolare di Tommaso che si mostra certo che la morte sarà, invece, per Lazzaro – come per tutti loro – l’ultima parola. Ma allo scetticismo dei suoi si contrappone la grande fede delle sorelle di Lazzaro, anch’essa animata dall’amore fraterno. Innanzitutto la fede di Marta, la prima a uscire incontro a Gesù quando, finalmente, Egli si reca a Betania. Gesù le lancia la “sfida” suprema: “’Tuo fratello risorgerà (…) Io sono la risurrezione e la vita (…) Credi questo?’. Gli rispose: ‘Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo’”. La fede di Marta è limpida, libera, coraggiosa, esemplare per tutti i cristiani che verranno: la fede nella resurrezione di suo fratello si fonda sulla fede in Gesù e nelle sue parole. Cemento della fede è l’amore: esso si completa nell’incontro di Gesù con Maria che viene piangendo il lutto per suo fratello insieme ai Giudei. Sarà Maria ad accompagnare Gesù dinanzi allo sfacelo del cadavere di Lazzaro e a contagiarLo delle sue lacrime: “Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: ‘Guarda come lo amava!’”. Potenza delle lacrime! Potenza del circuito dell’amore che può tutto, che diventa più forte della morte. E non accadde per miracolismo ma per il miracolo di una cordata di fraternità, dissolvenza di fede e d’amore, che Gesù poté gridare “a gran voce: Lazzaro, vieni fuori!”. L’amore genera la fede e la fede genera l’amore, e l’Amore genera la Vita. Per questo, quando giungerà la sua ora: “Avendo amato i suoi li amò sino alla fine” (Gv 13,1).