Domenica 29 ottobre

La domanda posta dal dottore della Legge offre a Gesù l’occasione per esporre il nucleo centrale della sua fede e la ragione fondamentale della sua missione. La forza che lo motiva ad agire e a parlare, portandolo a mettersi così in evidenza al punto da attirare l’attenzione delle persone e la preoccupazione delle autorità politiche e religiose, è il comandamento dell’amore, il quale ha due aspetti, come le due facce di una moneta.

Nella croce la Legge trova la sua sintesi nel comandamento dell’amore, il quale in essa, a sua volta, raggiunge la sua massima espressione. La croce, infatti, definisce i confini entro cui Gesù spende la sua vita: l’amore a Dio (braccio verticale) e all’uomo (braccio orizzontale), che non possono essere separati, perchè indissolubilmente uniti. Amare il Signore implica necessariamente prendersi cura del prossimo, e l’attenzione per i fratelli non può esistere al di fuori del nostro rapporto con Dio.

Gesù presenta un percorso in continua evoluzione, la chiamata all’amore dell’umanità verso Dio, un compito che non conosce sosta, come dimostrato dall’uso della formula: Amerai. Questa forma verbale, oltre a indicare un imperativo, connota anche l’idea di progresso e incompiutezza. In questo comandamento, c’è sempre un futuro, una dimensione in continua evoluzione. L’amore è un compimento eterno che non conosce mai fine, ma continua a scoprire nuove strade, realizzazioni e modi di esprimersi.

L’attributo distintivo dell’amore per Dio è la sua completezza e l’esclusività totale: richiede tutto il cuore, tutta l’anima e tutta la mente, senza concessioni. Vale a dire che per amare in modo completo, dobbiamo coinvolgere ogni parte di noi stessi: il cuore, il centro dei sentimenti; l’anima, il dono divino; e la mente, sede della volontà più profonda. Amore totale e “tridimensionale” che permea ogni aspetto dell’interiorità senza lasciare spazi vuoti, che si estende verso una nuova dimensione esterna che, di conseguenza, elimina ogni spazio vuoto nelle relazioni, perché «il secondo comandamento è simile al primo».

La somiglianza non implica l’identità, si riferisce piuttosto alla natura e all’uguale importanza dei due comandamenti. Pertanto, non sono equivalenti, come se amare il prossimo implicasse automaticamente l’amore per Dio e viceversa. È attraverso il primato dell’amore totale per Dio, che è il “Padre”, che possiamo giungere ad amare il prossimo come noi stessi, riconoscendolo come nostro “fratello”.

Insomma, Dio desidera trascinarci in questa straordinaria avventura dell’amore, chiedendoci di eliminare ogni ostacolo e di permettere al suo amore di fluire liberamente in ogni parte di noi, in tutte le nostre facoltà, per riempirle completamente del suo spirito. Ma allo stesso tempo, ci orienta verso il mondo sensibile, verso l’incontro con i nostri fratelli e le nostre sorelle, e ci esorta ad amarli come amiamo noi stessi, a desiderare per loro ciò che desideriamo per noi, a impegnarci affinché ciascuno possa godere dei beni e dei diritti che desideriamo per la nostra vita.

E l’affermazione dei nostri diritti non può essere egoistica o arbitraria, poiché al centro di tutto deve esserci solamente Dio. Non possiamo permettere che il nostro “ego” diventi il fulcro dell’universo, in modo tale che il bene che cerchiamo per noi e per gli altri offuschi il primato di Dio. Al contrario, il perseguimento del bene deve contribuire a rafforzare e affermare il primato di Dio nel modo migliore possibile, sia per noi che per il mio prossimo. Più si rafforza il primato di Dio, più si eleva la dignità e la grandezza dell’uomo, creato a sua immagine e somiglianza.