“Tanti in questi ultimi mesi si sono messi a cercare le differenze tra Papa Francesco e Papa Leone, mentre è bello invece sperimentare il grande dono dell’unità e continuità nella successione”. Il card. Rolandas Makrickas, arciprete della Basilica Papale di Santa Maria Maggiore, presiede oggi alle 18 la chiusura della Porta Santa, la prima a essere murata fino al prossimo Giubileo ordinario. Riflette su un Anno Santo straordinario, segnato da un passaggio epocale: due pontificati all’interno di un unico Giubileo.
Eminenza, questo Anno Santo, indetto da Papa Francesco e concluso sotto Papa Leone XIV, si presenta come un tempo di continuità nel segno della speranza. Quale tratto comune vede tra i due pontificati?
Quello del 2025 è stato davvero un Anno Santo eccezionale e particolare. Due pontificati all’interno di un unico Anno Santo. Pensiamo che solo nel 1700 la Chiesa aveva vissuto un’esperienza simile, con il Giubileo aperto da un Pontefice e chiuso poi dal successore. A Santa Maria Maggiore l’Anno Santo ha assunto un significato ancor più speciale, dato che Papa Francesco l’ha eletta quale luogo della propria sepoltura.
Molti hanno cercato di evidenziare le differenze tra i due pontificati…
Tanti in questi ultimi mesi si sono messi a cercare le differenze tra Papa Francesco e Papa Leone, mentre è bello invece sperimentare il grande dono dell’unità e continuità nella successione. È chiaro che ogni Pontefice porta le sue caratteristiche personali e la propria esperienza della vita e della pastorale. Ma tutto si tiene insieme perché la Chiesa vive nella comunione e in una dimensione di costante rinnovamento che reinterpreta, nel tempo, il portato della fede e lo mette al servizio del presente, anche e soprattutto attraverso il magistero affidato al Santo Padre, che della Chiesa è pastore e guida, sempre, quale ne sia il nome, la provenienza, l’accento linguistico. Sempre fedele all’eredità ricevuta, eppure sempre nuova.
La lettura del passaggio tra i due pontificati rischia di essere condizionata da categorie troppo umane?
È questo che spesso confonde chi prova a leggere con categorie solo umane – e qualche volta anche polemiche o comunque ideologiche – i passaggi tra i diversi pontificati.
Stiamo vivendo una continuità nel segno della speranza, il grande tema di questo Anno Giubilare, così decisivo nell’epoca che stiamo vivendo e che interpella, spesso con durezza, il nostro cuore.
Pensiamo alle guerre che feriscono la nostra umanità in tante, troppe parti del mondo.
Quale parola hanno offerto i due Pontefici a questo tempo segnato dalle guerre?
Una parola autentica e credibile di speranza e lo hanno fatto ricordandone il fondamento ultimo: il Signore Gesù, il Dio fattosi uomo per amore di tutti noi, di tutti i popoli, come faremo memoria in maniera speciale in questi giorni natalizi. Il passaggio tra i due pontificati è stato nel segno di questa speranza credibile e concreta, come la carne che ha assunto il Signore facendosi uomo per la nostra salvezza. C’è una notizia più bella di questa? Ed è questa la notizia che conta e che certo non cambia tra un Papa e l’altro. Il resto sono giudizi umani.
Un Giubileo, due pontificati
Il Giubileo 2025 è uno dei rari Anni Santi celebrati sotto due Pontefici. Un precedente analogo risale al 1700, aperto da Innocenzo XII e concluso da Clemente XI. La Basilica Papale di Santa Maria Maggiore ha avuto un ruolo centrale, anche per la scelta di Papa Francesco di indicarla come luogo della propria sepoltura.
Nel magistero di Leone XIV emerge con forza l’idea di una fede che non si sottrae alla storia ma si traduce in responsabilità. Come interpreta questa linea?
Devo in effetti dire che Papa Leone ci sta richiamando con insistenza all’idea di una fede che vive e agisce nella storia, non fuori di essa e certamente non contro. Proprio per questo, io penso, ci sta aiutando a tornare ai fondamenti del nostro credo. Non mi pare un caso che il primo viaggio apostolico sia stato a Nicea e sia stato, inoltre, nel segno dell’ecumenismo e del dialogo tra le religioni. E non mi pare, allo stesso modo, un caso questa incessante sua parola sui cardini del cattolicesimo: l’annuncio della centralità di Cristo, di Dio fatto uomo, la dimensione ecclesiale della fede, i Sacramenti.
Parlare di questi fondamenti significa sottrarsi alle grandi sfide del tempo?
Tutt’altro. Parlare di questo all’umanità di oggi non significa sottrarsi alle grandi sfide del tempo – quella economica, quella sociale, quella ambientale e così via – ma anzi è offrire a queste sfide una parola davvero sensata e un contributo concreto alle loro soluzioni. In questo la Chiesa continua a essere segno di contraddizione: pare essere fuori dal tempo e invece abita il tempo con pienezza, sempre con un pensiero e un annuncio che lascia il segno.
In che senso la Chiesa è contemporanea al cuore dell’uomo?
A ben vedere, non c’è soggetto più contemporaneo al cuore dell’uomo quanto la Chiesa, e questo Papa Leone XIV ben lo sa e lo sta interpretando ogni giorno con il suo magistero e con i suoi discorsi, una fonte inesauribile di ispirazione per tutti noi e che di certo non hanno paura di misurarsi con gli interrogativi propri dell’umanità di oggi:
Dall’intelligenza artificiale al disarmo, dall’emergenza climatica a quella educativa, non c’è davvero urgenza con cui il Santo Padre non si stia misurando e non inviti anche noi fedeli a fare altrettanto.
Quale frutto concreto del Giubileo dovrebbe restare quando la Porta Santa si chiude e la vita quotidiana riprende?
Se, chiusa la Porta Santa, riprendessimo la vita quotidiana su queste basi, credo che sarebbe già tanto. Anzi, forse tutto.
Roma in questi mesi è stata attraversata da persone molto diverse, tra fede, turismo, attese e fragilità. Che cosa ha visto nella Basilica di Santa Maria Maggiore?
Da un lato, milioni di pellegrini che hanno attraversato la Porta Santa con autentica devozione e non infrequentemente offrendo testimonianze commoventi della loro fede, in particolare quelli che venivano dai luoghi più periferici del mondo. Il primo dato è dunque quello di un tempo in cui
La fede, che analisi sociologiche troppo superficiali e sovente malevole avevano ormai data per indebolita, gode di ottima salute.
Dall’altro lato ho visto anche l’incontro di queste masse con quelle persone che visitavano la Basilica per altro motivo, per turismo o semplice curiosità. Un incontro arricchente e che sono sicuro avrà spinto alla riflessione.
Avete messo in atto qualche iniziativa particolare per intercettare questi diversi bisogni?
A Santa Maria Maggiore abbiamo voluto metterci in ascolto di tutti attraverso un quotidiano “presidio spirituale” garantito a turno dai nostri Canonici. Io stesso ho provato settimanalmente a dedicare qualche ora a questo servizio e devo dire che tante, davvero tante sono le persone che mi hanno detto di essere rimaste colpite da ciò che avevano sentito nel loro cuore attraverso le immagini di quei fratelli e di quelle sorelle raccolti in preghiera, oppure gioiosi nell’animazione delle messe che si celebravano nelle nostre cappelle ogni giorno.
Che tipo di esperienza è stata per chi ha attraversato la Porta Santa?
Per alcuni è stato come il riaffiorare di quella fede che magari avevano vissuto da bambini e che poi avevano messo un poco da parte. Per altri è stato
Un incontro dirompente con un’esperienza nuova, che ha spalancato per loro persino la possibilità di una conversione.
Quali frutti intravede in tutto questo?
Solo il Signore sa, naturalmente, che cosa ne sarà di tutto ciò, ma io sono sicuro che sono stati seminati germogli di bene vero, che sapranno fiorire anche tra le asperità di questo frangente storico. Lo dico anche avendo ancora negli occhi le lunghe file ai confessionali ogni giorno. Come non vedere in tutto ciò il dono di grazia che il Giubileo ha portato con sé?

(Foto Vatican Media/SIR)
Che lettura dà del nostro tempo?
Complesso, fragile, incerto, ma il cuore dell’uomo ancora sussulta al richiamo di una vita autentica che solo un percorso di fede può offrire. Questa mi sembra una cosa bella che ci deve dare speranza e che a noi sacerdoti deve ricordare che mai dobbiamo stancarci di accogliere tutti, sull’esempio di Nostro Signore, e a tutti dobbiamo offrire una parola di senso compiuto sulla loro vita, ben prima di giudicarli.
In una società segnata da conflitti, diseguaglianze e da una crescente sfiducia verso le istituzioni, che valore può avere oggi, anche per chi non crede, un gesto simbolico come l’apertura e la chiusura di una Porta Santa?
Un valore essenziale. È, innanzitutto, una Porta che si è aperta davanti a tutti, senza distinzione. In questi mesi a nessuno è stato chiesto, per attraversarla, di dare prova del proprio credo. La Porta Santa era lì per ognuno. E ognuno l’ha attraversata nell’esatta condizione di vita o di pensiero che lo caratterizzava. Mi risuona l’insistenza di Papa Francesco con quel “Tutti! Tutti!” che amava ripetere.
Perché la Chiesa può dirsi davvero universale?
La Chiesa è l’unica istituzione sotto questo cielo a essere davvero universale, nel senso anche di questa sua capacità e volontà di abbracciare e di voler entrare in dialogo con ciascuno. D’altra parte mai dobbiamo dimenticarci che la Porta Santa è immagine stessa di Cristo e lui di certo non esclude nessuno dal suo amore.
Ora si chiudono le Porte Sante delle Basiliche, ma mai si chiude la porta della misericordia del nostro Dio.
quella rimarrà sempre aperta, anche dopo il 6 gennaio prossimo. Credo che non ci sia gioia più grande nel riconoscere questo e sono convinto che questo nostro mondo abbia proprio bisogno di un annuncio del genere.
Quando la Porta Santa si chiude, quale eredità più esigente lascia questo tempo alla Chiesa di Roma?
Esattamente quello che dicevo poco fa. Il Giubileo, dal punto di vista ecclesiale, ci lascia – a cominciare da noi pastori – il compito di un annuncio costante, credibile e gioioso di una speranza che ha il volto di un Dio fattosi uomo e che arde di amore per ciascuno di noi. Non dovremo stancarci di ripetere nelle nostre parrocchie, dai nostri altari, nelle nostre aule di catechismo, in ogni luogo dove siamo e facciamo Chiesa, che questa è la nostra fede. Non dovremo avere paura di testimoniarla al mondo. Non dovremo sottrarci all’impegno di convertirci e di convertire.
E per chi ha ruoli di guida nella vita pubblica e sociale?
Dal punto di vista laico mi auguro vi sia rinnovata consapevolezza, come ho già evidenziato, che la fede è ancora un’esperienza essenziale dell’uomo. Merita rispetto, merita tutela.
È un bene pubblico, in senso proprio, ed è un bene che collabora alla difficile costruzione di una società e di un mondo orientati all’equità, alla giustizia, allo sviluppo autentico e integrale di ogni essere vivente.
Cosa si augura concretamente?
Mi piacerebbe proprio che tutti sentissimo allo stesso modo il richiamo a questa responsabilità e che tutti mettessimo in campo, pur entro la virtuosa distinzione dei ruoli e dei piani, in uno spirito di sana cooperazione – come si sarebbe detto un tempo – le migliori energie e tutte le risorse per consentire a ogni uomo e a ogni donna di poter vivere sino in fondo la loro fede, anche nella sua capacità propria di farsi strumento di crescita della comunità civile. Ne avremo tutti da guadagnare, credenti e non credenti.

