Si può parlare di Boccaccio e trarne suggerimenti utili su come difendersi dai falsi e da quelle che ora prendono il nome di “fake news”? Don Giacomo Cardinali, vice prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana, Scriptor Latinus e Commissario delle attività espositive, nel suo ultimo libro – “Tutti pazzi per Boccaccio. Indagine su un caso di editoria e censura nella Venezia del Settecento” (Sellerio Editore Palermo) – scommette di sì in pagine che hanno il ritmo avvincente del giallo ma partono da vicende storiche accuratamente verificate.
Come è nata l’idea di questo libro, e quanto ha influito l’aver accesso ai “tesori” della Biblioteca Vaticana?
Devo dire che questo libro deve molto alla Biblioteca Vaticana. Sicuramente perché l’accesso ad un patrimonio come il nostro, permette di verificare le informazioni e di trovarne altre.
Quando ho iniziato ad occuparmi di questa vicenda, ho potuto scoprire che conservavamo otto esemplari del Decameron stampato a Firenze nel 1527, di cui due si sono rivelati originali e sei delle copie: ho avuto così sottomano tutto quello che mi serviva per impostare la ricerca.
Ma poi c’è anche il fatto che in Biblioteca il personale scientifico, e gli Scriptores in particolare, sono molto liberi di dedicarsi a ciò che li interessa. La ricerca è lasciata agli interessi e all’iniziativa personale, per cui c’è una grande libertà di movimento, che fa indubbiamente bene al lavoro scientifico e alla sua qualità.
Il protagonista del volume è il primo facsimile della storia. Quali sono le sue caratteristiche, e quali possono essere quelle di oggi, in relazione, ad esempio alle fotocopie?
La mia ricerca ruota attorno a un caso molto strano: nel 1729 a Venezia viene pubblicato l’imitazione esatta del Decameron di Boccaccio che era stato stampato a Firenze due secoli prima, nel 1527 appunto. Una edizione talmente simile all’originale di risultare quasi indistinguibile, e che infatti ha tratto in inganno bibliofili e collezionisti di mezzo mondo. Mentre una fotocopia, per quanto a colori e ben fatta, si riconosce molto facilmente, e anzi non c’è rischio che venga presa per l’originale, in questo caso l’edizione settecentesca imitava in tutto quella di due secoli prima: caratteri, impaginazione, elementi tipografici… Anche davanti a due esemplari affiancati un esperto di libri avrebbe fatto molta fatica a distinguere l’originale dal facsimile.
Se non esplicitamente dichiarato come tale, il facsimile diventa contraffazione: come difendersi dai falsi, allora come oggi? Ci sono analogie, e quali, con la fake news e l’intelligenza artificiale?
Sì, ancora oggi, il facsimile, per dirsi tale, e non una frode, deve essere accompagnato da una specifica ed esibita certificazione. Privo di quella, diventa ingannevole e fraudolento. Nel caso di quello di Boccaccio che mi interessava, il fatto che fosse una copia era stato dichiarato anche sui giornali dell’epoca e si deduceva dal prezzo, sensibilmente più basso rispetto all’originale, ma ciò non toglie che in qualche caso qualcuno provò a spacciarlo per tale.
In generale, l’arma di difesa più potente sta nello studio e nell’affinamento della sensibilità, come per le fake news e l’AI.
Da marchigiano sono un sostenitore della diffidenza, che da noi è tratto caratteriale, ma che nell’uomo di studi è una dota direi quasi professionale. È molto importante non dare nulla per scontato, riconsiderare ogni cosa da capo e procedere a verifiche personali, tramite i propri studi e ogni strumento scientifico a disposizione. Per questa ricerca ho chiesto aiuto anche ai nostri restauratori e ai nostri fotografi: per smascherare il falso sono state molto utili riprese a raggi x e approfondimenti sugli inchiostri.
Nel libro si spiega anche come fabbricare un falso, oltre che come non rimanerne vittime: è una “cassetta degli attrezzi” ancora valida?
Personalmente direi di sì. Cambiano le tecniche, si evolvono gli strumenti a disposizione, ma i moventi e gli scopi, le spinte profonde e gli obiettivi tendono a rimanere costanti. L’aspetto antropologico ha degli elementi che attraversano i secoli, mentre quelli tecnico-realizzativi possono mutare. Secondo me, conoscere certe storie aiuta a sviluppare una sana cautela, e poi diverte:
questo è un vero e proprio giallo, in cui a partire dalla falsificazione finale si risale agli autori e alle ragioni per cui si decisero a quella operazione.
È stato avvincente scoprirli, e poi scrivere di loro.
L’effetto censura, come si è visto con la storia della ricezione delle opere di Boccaccio, amplifica l’interesse per l’opera in oggetto. Avviene qualcosa di simile anche oggi? E si può parlare ancora, e in quali termini, nel XXI secolo, di censura ecclesiastica?
È un (altro) dato antropologico che l’interdizione suscita curiosità e interesse. Si può provare a censurare il romanzo più insulso o il “mattone” scientifico più ostico, e subito centinaia di persone andrebbero in libreria per acquistarlo: è un meccanismo infallibile. In linea teorica, la censura ecclesiastica non esiste più, ma ricordo che qualche anno fa un cardinale si scagliò contro Harry Potter: non ho dati di editoria alla mano, ma sono quasi certo che ne abbia determinato un buon aumento delle vendite, almeno in Italia. Se si vuole censurare qualcosa, è molto più abile ignorarlo!
L’andamento del libro è quello di un’indagine molto accurata che procede per rivelazioni successive e inserti enigmistici con le relative soluzioni. Una delle questioni centrali è quale sia il movente dell’intera operazione. E cosa può insegnare, non solo agli addetti ai lavori?
Siccome questa ricerca è stata per me un’avventura appassionante, e a tratti sconcertante, ho voluto che il lettore avesse la possibilità di viverla con lo stesso spirito, per cui ho relegato in fondo al volume ogni aspetto di erudizione e ogni elemento di riscontro scientifico, trasformando il racconto in una specie di romanzo, durante il quale il lettore può procedere alle verifiche tra originale e copia come se stesse giocando con l’Aguzzate la vista della Settimana Enigmistica. I nostri studi hanno infatti una dimensione di gioco molto forte, che non volevo che andasse persa. Non è escluso che qualcuno scopra di avere un occhio da paleografo senza averlo mai sospettato!

