“In questi ultimi decenni, la crisi della fiducia nella Chiesa suscitata dagli abusi commessi da membri del clero, che ci riempiono di vergogna e ci richiamano all’umiltà, ci ha reso ancora più consapevoli dell’urgenza di una formazione integrale che assicuri la crescita e la maturità umana dei candidati al presbiterato, insieme con una ricca e solida vita spirituale”. Lo scrive Leone XIV, nella lettera apostolica “Una fedeltà che genera futuro”, scritta in occasione del 60° anniversario dei decreti conciliari Optatam totius e Presbyterorum ordinis. “Tutti i presbiteri sono chiamati a curare sempre la propria formazione, per mantenere vivo
il dono di Dio ricevuto con il sacramento dell’Ordine”, l’appello del documento, in cui si sottolinea l’importanza della “fraternità presbiterale” e a “superare la tentazione dell’individualismo”: “nessun pastore esiste da solo” e “non può esistere un ministero slegato dalla comunione con Gesù Cristo e con il suo corpo, che e la Chiesa”. La fraternità sacerdotale, quindi, “va considerata come elemento costitutivo dell’identità dei ministri, non solo come un ideale o uno slogan, ma come un aspetto su cui impegnarsi con
rinnovato vigore”.
Seminario sia “scuola degli affetti”. Il tema della formazione, per il Papa, è centrale anche per far fronte al fenomeno di coloro che, dopo qualche anno o anche dopo decenni, abbandonano il ministero: “questa dolorosa realtà non è da interpretare solo in chiave giuridica, ma chiede di guardare con attenzione e compassione alla storia di questi fratelli e alle molteplici ragioni che hanno potuto condurli a una tale decisione. E la risposta da dare è anzitutto un rinnovato impegno formativo”. Di conseguenza, “il seminario, in qualunque modalità sia pensato, dovrebbe essere una scuola degli affetti”: di qui l’invito ai seminaristi a “un lavoro interiore sulle motivazioni che coinvolga tutti gli aspetti della vita”, perché “solo presbiteri e consacrati umanamente maturi e spiritualmente solidi possono assumere l’impegno del celibato e annunciare in modo credibile il Vangelo del Risorto”. No, allora, a “narcisismo ed egocentrismo”, perché “comunione, sinodalità e missione non si possono realizzare se, nel cuore dei sacerdoti, la tentazione dell’autoreferenzialità non cede il passo alla logica dell’ascolto e del servizio”.
Solidarietà tra parrocchie ricche e povere. “In parecchie nazioni e diocesi, non e ancora assicurata la necessaria previdenza per le malattie e l’anzianità”, denuncia il Papa, raccomandando la perequazione economica “tra quanti servono parrocchie povere e coloro che svolgono il ministero in comunità benestanti”. “La cura reciproca, in particolare l’attenzione verso i confratelli più soli e isolati, nonché quelli infermi e anziani, non può essere considerata meno importante di quella nei confronti del popolo che ci e affidato”, scrive Leone XIV, che stigmatizza le “derive della solitudine” ed esprime l’auspicio che “in tutte le Chiese locali possa nascere un rinnovato impegno a investire e promuovere forme possibili di vita comune”, nell’ottica di una Chiesa sinodale. “In un tempo di grandi fragilità, tutti i ministri ordinati sono chiamati a vivere la comunione tornando all’essenziale e facendosi prossimi alle persone, per custodire la speranza che prende volto nel servizio umile e concreto”, l’altra indicazione papale, insieme a quella di valorizzare il diaconato permanente.
Collaborazione tra preti e laici. “Il rapporto con il vescovo, la fraternita con gli altri presbiteri, il rapporto con i fedeli laici”, le tre coordinate dell’identità sacerdotale. “Anziché primeggiare o concentrare tutti i compiti in se stessi”, i preti “devono scoprire con senso di fede i carismi, sia umili che eccelsi, che sotto molteplici forme sono concessi ai laici”. In questo campo, per Leone XIV, “c’e ancora tanto da fare”: no, allora, al modello di sacerdozio come “una leadership esclusiva, che determina l’accentramento della vita pastorale e il carico di tutte le responsabilità affidate a lui solo, tendendo verso una conduzione sempre più collegiale, nella cooperazione tra i presbiteri, i diaconi e tutto il Popolo di Dio, in quel vicendevole arricchimento che e frutto della varietà dei carismi suscitati dallo Spirito Santo”.
Vigilare sull’esposizione mediatica. “Mentalità efficientista” e “quietismo” sono le due tentazioni opposte da cui i preti devono guardarsi i preti “nel nostro mondo contemporaneo, caratterizzato da ritmi incalzanti e dall’ansia di essere iperconnessi”. Nella lettera apostolica, Leone XIV mette in guardia inoltre da “ogni personalismo e ogni celebrazione di se stessi, nonostante l’esposizione pubblica cui talvolta il ruolo può obbligare”. In questo contesto, “l’esposizione mediatica, l’uso dei social network e di tutti gli strumenti oggi disponibili va sempre valutato sapientemente, assumendo come paradigma del discernimento quello del servizio all’evangelizzazione”. “In ogni situazione, i presbiteri sono chiamati a dare una risposta efficace, tramite la testimonianza di una vita sobria e casta, alla grande fame di relazioni autentiche e sincere che si riscontra nella società contemporanea”, l’altra indicazione di rotta per una “rinnovata Pentecoste vocazionale nella Chiesa”, perché “non c’è futuro senza la cura di tutte le vocazioni”.

