In un mondo dominato dall’aggressività, dall’arroganza, dalla volgarità, la gentilezza è trasgressiva, perché si rifiuta di cedere all’imbarbarimento generale. Ne è convinto mons. Leonardo Sapienza, reggente della Prefettura della Casa Pontificia, che nel suo ultimo libro, “La gentilezza” (Editrice la ricerca), si sofferma sulla preziosità di una virtù dai più dimenticata, eppure ancora nascosta nelle pieghe del nostro quotidiano, se si allena lo sguardo a guardare a ciò che è vero, buono, bello.
“Gentile è chi presta attenzione alle forze e alle debolezze dell’altro, e gode più di stare insieme che di realizzare qualcosa”,
l’identikit tracciato dall’autore: “La persona gentile cammina con passo leggero, ascolta con attenzione, guarda con tenerezza e rispetto. La persona gentile sa che la vera crescita richiede nutrimento, e non forza”. Cortesia, educazione, rispetto, sono gli ingredienti di quella forza tranquilla, frutto della padronanza di sé, che con il suo potere disarmante – direbbe Papa Leone, sulla scorta di quella che San John Henry Newman, da lui proclamato proprio quest’anno Dottore della Chiesa, definisce “luce gentile” – è in grado di disinnescare i meccanismi perversi, autoreferenziali e spesso malvagi che dilagano nella nostra società.
“La gentilezza – assicura mons. Sapienza nella sua strenna natalizia – disintossica dei veleni dell’odio, dall’invidia, dall’egoismo, dall’orgoglio, e invita a vedere in ogni uomo un fratello, non un riale, non un nemico, rende più umani i cuori, sensibili ai bisogni degli altri, rispettosi dell’altrui dignità”.
Non è buonismo, sentimentalismo o ipocrisia, ma un vero e proprio stile di vita, un atto rivoluzionario, che chiede di
“restaurare buone prassi di gentilezza nella politica, nei mass media, nella diplomazia, elevando barriere di buoni sentimenti al malcostume dilagante della volgarità del linguaggio e dei comportamenti”.
Come insegna Sant’Agostino, i comportamenti trascinano: “un sorriso, una carezza, un ascolto partecipe, una parola affettuosa, aiutano più di molte medicine”. Come quella foto, che ha fatto il giro del mondo, di un marito 96enne che in un fast food imbocca teneramente sua moglie malata di Alzheimer. Una moglie che non lo riconosce neanche più. Risuonano, in gesti come questo, le parole di San Francesco d’Assisi: “Io voglio per me questo privilegio del Signore: non aver nessun privilegio dagli uomini, se non quello di essere rispettoso con tutti”.
L’alfabeto della gentilezza si impara in famiglia e ha a che fare con la profondità dell’amore.
E’ il contrario dell’indifferenza, perché “chi ama veramente e in profondità non esclude nessuno dal proprio amore”. I vicini come i lontani, chi soffre a causa delle guerre, della violenza e delle malattie così come le persone che abbiamo accanto tutti i giorni, spesso le prime vittime della nostra colpevole trascuratezza. Solo percorrendo fino in fondo il sentiero della gentilezza, suggerisce l’autore del libro, potremo riscoprire l’autentico significato della parola “gratitudine” e cominciare ogni nuovo giorno mantenendo intatto nel nostro cuore il desiderio di felicità, vero motore di ogni nostra azione. La rivoluzione della gentilezza, dunque, come sfida per una società migliore:
“nel tempo dei populismi e della politica gridata, di partiti senza storia e senza memoria, poveri di leader, senza testimoni autentici e animati da ideali forti, con posizioni che durano lo spazio e il tempo di un tweet”,
la sfida diventa ancora più alta. “Si può scegliere la vita dello scontro perenne, dei toni esasperati, della piazza reale o mediatica che sia. Oppure si può scegliere la strada del dialogo e della dialettica costruttiva. Della gentilezza e del coraggio”. In una parola: la via della pace, disarmata e disarmante, come ci esorta a fare Papa Leone. “Non è più questione di destra o di sinistra o di centro”, conclude mons. Sapienza. E’ una sfida che riguarda tutti noi, nessuno escluso.

