Leone XIV: “apriamoci alla pace”

Nel messaggio per la Giornata mondiale della pace, il Papa lancia un appello per il disarmo integrale e chiede ai governanti di scegliere "la via disarmante della diplomazia". No a "narrazioni prive di speranza", perché "la pace non è un'utopia"

(Foto Vatican Media/SIR)

“La pace esiste, vuole abitarci, ha il mite potere di illuminare e allargare l’intelligenza, resiste alla violenza e la vince”. Comincia con questo messaggio rassicurante il messaggio di Leone XIV per la Giornata mondiale della pace, che prende il titolo e le mosse dal saluto pronunciato fin dalla sera della sua elezione al soglio pontificio: “La pace sia con tutti voi: verso una pace disarmata e disarmante”. A fare da sfondo lo scenario attuale, fatto di luce e di tenebre, in cui le operatrici e gli operatori di pace “ancora resistono alla contaminazione delle tenebre, come sentinelle nella notte”, nonostante il dramma di quella che Papa Francesco ha definito “terza guerra mondiale a pezzi”. Al cuore del messaggio, l’ appello per il disarmo integrale, a sessant’anni dal Concilio, e la richiesta ai governanti e ai leader religiosi di scegliere “la via disarmante della diplomazia” e del dialogo, come frutto auspicato al termine del Giubileo della speranza.

No a “narrazioni prive di speranza”. Nella parte iniziale del messaggio, il Papa mette in guardia da “una rappresentazione del mondo parziale e distorta, nel segno delle tenebre e della paura”: sono “narrazioni prive di speranza”, presentate come realistiche, che richiedono al contrario di aprirsi alla pace.

“Sia che abbiamo il dono della fede, sia che ci sembri di non averlo, apriamoci alla pace!”,

l’appello: “Accogliamola e riconosciamola, piuttosto che considerarla lontana e impossibile”.

“Se la pace non è una realtà sperimentata e da custodire e da coltivare, l’aggressività si diffonde nella vita domestica e in quella pubblica”,

l’analisi di Leone XIV, che denuncia come “nel rapporto fra cittadini e governanti si arriva a considerare una colpa il fatto che non ci si prepari abbastanza alla guerra, a reagire agli attacchi, a rispondere alle violenze. Molto al di là del principio di legittima difesa, sul piano politico tale logica contrappositiva è il dato più attuale in una destabilizzazione planetaria che va assumendo ogni giorno maggiore drammaticità e imprevedibilità”. La pace di Gesù risorto è invece disarmata, “perché disarmata fu la sua lotta, entro precise circostanze storiche, politiche, sociali”. Con lui, i cristiani devono “farsi, insieme, profeticamente testimoni” di questa novità, “memori delle tragedie di cui troppe volte si sono resi complici”, in un mondo dominato dall’incertezza e nel quale prevale “un grande senso di impotenza”.

“Quando trattiamo la pace come un ideale lontano, finiamo per non considerare scandaloso che la si possa negare e che persino si faccia la guerra per raggiungere la pace”,

il monito.

Sì al “disarmo integrale”. “Nel corso del 2024 le spese militari a livello mondiale sono aumentate del 9,4% rispetto all’anno precedente, raggiungendo la cifra di 2.718 miliardi di dollari, ovvero il 2,5% del PIL mondiale”, i dati forniti dal Papa, che oltre all’enorme sforzo economico per il riarmo stigmatizza anche con “un riallineamento delle politiche educative”: “invece di una cultura della memoria, che custodisca le consapevolezze maturate nel Novecento e non ne dimentichi i milioni di vittime, si promuovono campagne di comunicazione e programmi educativi che diffondono la percezione di minacce e trasmettono una nozione meramente armata di difesa e di sicurezza”. “Non a caso, i ripetuti appelli a incrementare le spese militari e le scelte che ne conseguono sono presentati da molti governanti con la giustificazione della pericolosità altrui”, osserva Leone.

La pace non è un utopia. Non si possono delegare alle macchine “decisioni riguardanti la vita e la morte delle persone umane”, scrive il Papa denunciando la “spirale distruttiva, senza precedenti”, innescata dall’ulteriore avanzamento tecnologico e dall’applicazione in ambito militare delle intelligenze artificiali, che “hanno radicalizzato la tragicità dei conflitti armati”, provocando “un processo di deresponsabilizzazione dei leader politici e militari”. In quest’ottica, Il disarmo integrale è “un servizio fondamentale che le religioni devono rendere all’umanità sofferente, vigilando sul crescente tentativo di trasformare in armi persino i pensieri e le parole”.

“Trascinare le parole della fede nel combattimento politico, benedire il nazionalismo e giustificare religiosamente la violenza e la lotta armata” sono “forme di blasfemia che oscurano il Nome Santo di Dio”,

il monito ai credenti: “Oggi più che mai occorre mostrare che la pace non è un’utopia”, l’invito.

Diplomazia e dialogo. A quanti sono chiamati a responsabilità pubbliche spetta il compito, per il Papa, della “ricomposizione pacifica dei rapporti tra le comunità politiche su piano mondiale: ricomposizione fondata sulla mutua fiducia, sulla sincerità nelle trattative, sulla fedeltà agli impegni assunti”, tramite l’avvio di “intese leali, durature, feconde”.

E’ “la via disarmante della diplomazia, della mediazione, del diritto internazionale, smentita purtroppo da sempre più frequenti violazioni di accordi faticosamente raggiunti, in un contesto che richiederebbe non la delegittimazione, ma piuttosto il rafforzamento delle istituzioni sovranazionali”.

In un tempo “di destabilizzazione e di conflitti, occorre motivare e sostenere ogni iniziativa spirituale, culturale e politica che tenga viva la speranza, contrastando il diffondersi di atteggiamenti fatalistici, come se le dinamiche in atto fossero prodotte da anonime forze impersonali e da strutture indipendenti dalla volontà umana”. Se infatti “il modo migliore per dominare e avanzare senza limiti e seminare la mancanza di speranza e suscitare la sfiducia costante, benché mascherata con la difesa di alcuni valori”, a una simile strategia “va opposto lo sviluppo di società civili consapevoli, di forme di associazionismo responsabile, di esperienze di partecipazione non violenta, di pratiche di giustizia riparativa su piccola e su larga scala”, come auspicava già Leone XIII nella Rerum Novarum.

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