“Noi non siamo macchine, abbiamo un cuore, anzi, possiamo dire, siamo un cuore”. Ne è convinto Leone XIV, che ha dedicato l’udienza di oggi, pronunciata in piazza San Pietro, alla Pasqua come approdo del cuore inquieto, in puro stile agostiniano. Prima di raggiungere la piazza, il Papa ha salutato un centinaio di malati e disabili in Aula Paolo VI, intrattendendosi con ciascuno di loro. Al termine dell’udienza, l’ appello affinché
il presepe, “un elemento così importante, non solo della nostra fede, ma anche della cultura e dell’arte cristiana, continui a far parte del Natale”.
“La vita umana è caratterizzata da un movimento costante che ci spinge a fare, ad agire”, l’esordio della catechesi: “Oggi si richiede ovunque rapidità nel conseguire risultati ottimali negli ambiti più svariati”. “In che modo la risurrezione di Gesù illumina questo tratto della nostra esperienza? Quando parteciperemo alla sua vittoria sulla morte, ci riposeremo?”, si è chiesto il Pontefice: “La fede ci dice: sì, riposeremo. Non saremo inattivi, ma entreremo nel riposo di Dio, che è pace e gioia”. “Ebbene, dobbiamo solo aspettare, o questo ci può cambiare fin da ora?”, l’altra domanda di Leone: “Siamo assorbiti da tante attività che non sempre ci rendono soddisfatti. Molte delle nostre azioni hanno a che fare con cose pratiche, concrete. Dobbiamo assumerci la responsabilità di tanti impegni, risolvere problemi, affrontare fatiche. Anche Gesù si è coinvolto con le persone e con la vita, non risparmiandosi, anzi donandosi fino alla fine”.
“Eppure, percepiamo spesso quanto il troppo fare, invece di darci pienezza, diventi un vortice che ci stordisce, ci toglie serenità, ci impedisce di vivere al meglio ciò che è davvero importante per la nostra vita”, il monito del Papa: “Ci sentiamo allora stanchi, insoddisfatti: il tempo pare disperdersi in mille cose pratiche che però non risolvono il significato ultimo della nostra esistenza. A volte, alla fine di giornate piene di attività, ci sentiamo vuoti. Perché?”. “Perché
noi non siamo macchine, abbiamo un cuore, anzi, possiamo dire, siamo un cuore”,
la risposta sulla scorta di Sant’Agostino: “Il cuore è il simbolo di tutta la nostra umanità, sintesi di pensieri, sentimenti e desideri, il centro invisibile delle nostre persone”. L’importanza del cuore è sintetizzata nella “bellissima frase” di Gesù nel Vangelo di Matteo: “Là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore”.
“È nel cuore che si conserva il vero tesoro, non nelle casseforti della terra, non nei grandi investimenti finanziari, mai come oggi impazziti e ingiustamente concentrati, idolatrati al sanguinoso prezzo di milioni di vite umane e della devastazione della creazione di Dio”,
ha assicurato il Papa: “il cuore è il simbolo di tutta la nostra umanità, sintesi di pensieri, sentimenti e desideri, il centro invisibile delle nostre persone”, ha aggiunto sulla scorta del Vangelo e di Sant’Agostino. Secondo Leone, “è importante riflettere su questi aspetti, perché
nei numerosi impegni che di continuo affrontiamo, sempre più affiora il rischio della dispersione, talvolta della disperazione, della mancanza di significato, persino in persone apparentemente di successo”.
Invece, “leggere la vita nel segno della Pasqua, guardarla con Gesù Risorto, significa trovare l’accesso all’essenza della persona umana, al nostro cuore: cor inquietum”. Con questo aggettivo “inquieto”, Sant’Agostino “ci fa comprendere lo slancio dell’essere umano proteso al suo pieno compimento”. All’inizio delle Confessioni, infatti, si legge: “Signore, ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto, finché non riposa in te”. “L’inquietudine è il segno che il nostro cuore non si muove a caso, in modo disordinato, senza un fine o una meta, ma è orientato alla sua destinazione ultima, quella del ritorno a casa”, ha precisato il Papa parafrasando Sant’Agostino. “E l’approdo autentico del cuore non consiste nel possesso dei beni di questo mondo, ma nel conseguire ciò che può colmarlo pienamente, ovvero l’amore di Dio, o meglio, Dio Amore”, il monito: “Questo tesoro, però, lo si trova solo amando il prossimo che si incontra lungo il cammino: fratelli e le sorelle in carne e ossa, la cui presenza sollecita e interroga il nostro cuore, chiamandolo ad aprirsi e a donarsi”.
“Il prossimo ti chiede di rallentare, di guardarlo negli occhi, a volte di cambiare programma, forse anche di cambiare direzione”,
la lettura esistenziale del Pontefice: “Ecco il segreto del movimento del cuore umano: tornare alla sorgente del suo essere, godere della gioia che non viene meno, che non delude”.
“Nessuno può vivere senza un significato che vada oltre il contingente, oltre ciò che passa”, ha affermato il Papa: “Il cuore umano non può vivere senza sperare, senza sapere di essere fatto per la pienezza, non per la mancanza.
Gesù Cristo, con la sua Incarnazione, Passione, Morte e Risurrezione ha dato fondamento solido a questa speranza. Il cuore inquieto non sarà deluso, se entra nel dinamismo dell’amore per cui è creato. L’approdo è certo, la vita ha vinto e in Cristo continuerà a vincere in ogni morte del quotidiano. Questa è la speranza cristiana: benediciamo e ringraziamo sempre il Signore che ce l’ha donata!”.

