Nell’ambito del Giubileo dei giovani, nel pomeriggio del 30 luglio si è svolto a Roma nella basilica di San Giovanni Battista dei fiorentini l’incontro “Il cuore del giorno: riscatto, abito, responsabilità”, promosso dal Servizio nazionale Cei per la pastorale delle persone con disabilità. Un evento intenso, ricco di testimonianze e immagini, che ha mostrato come la disabilità non sia un ostacolo, ma una risorsa per l’intera società. L’incontro si è aperto con lo spettacolo teatrale “Io sono Edith”, realizzato dai giovani del MAiC di Pistoia, molti dei quali con sindrome di Down. Una rappresentazione ispirata alla figura luminosa di Edith Stein, filosofa, suora carmelitana e martire ad Auschwitz, accanto a figure come Massimiliano Kolbe. Un racconto vivo, carico di intensità, che ha dato voce alla dignità umana, anche nelle situazioni più fragili. Dopo la rappresentazione, sono seguite le testimonianze dei ragazzi del MAiC, dei giovani lavoratori di “Arte e Libro” di Udine, di una giovane attrice della Poti Pictures di Arezzo, accompagnata dal regista, e dei giovani della Cooperativa Manser di Roma. Un coro di esperienze concrete, che ha messo in luce la necessità di superare logiche episodiche per costruire percorsi strutturati e stabili di inclusione. Dalla loro voce è emersa una proposta chiara: investire non solo per giustizia o pietà, ma per intelligenza sociale, perché le persone con disabilità sono una parte significativa della popolazione e la loro valorizzazione genera bellezza e sviluppo. Al centro della riflessione, anche le “disabilità invisibili”, quelle legate al disagio sociale, alla solitudine, all’emarginazione: forme spesso non riconosciute di esclusione, ma altrettanto drammatiche.
- (Foto Calvarese/SIR)
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Ha chiuso l’incontro mons. Andrea Migliavacca, vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro e membro della Commissione episcopale Cei per il Servizio della carità e la salute, con un intervento dal titolo “Responsabili del nostro essere”. Un discorso profondo, tessuto attorno a un’immagine: l’abito. “Quando ho letto il titolo del nostro incontro, ‘riscatto, abito, responsabilità’ – ha raccontato – ho pensato che la parola più feconda fosse proprio abito. L’abito come simbolo della nostra vita, con le sue unicità, fragilità e limiti. Un abito che racconta chi siamo, senza maschere, con verità”. La sua riflessione si è aperta con la Genesi: “Siamo creati a immagine e somiglianza di Dio. Questo vuol dire che, così come siamo, siamo amabili. La nudità originaria di Adamo ed Eva è immagine della nostra autenticità. È solo con il peccato che entra la paura, e la paura ci porta a coprirci, a nasconderci, a non mostrarci per come siamo”. E ha aggiunto: “Il primo abito è quello che non c’è, perché siamo già vestiti della nostra dignità. Quando dimentichiamo che siamo amabili, iniziamo ad avere paura. E la paura, prima ancora dell’odio, è ciò che ferisce il fratello”.
- (Foto Calvarese/SIR)
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Dal racconto della Genesi, mons. Migliavacca è passato al Salmo 139: “’Mi hai fatto una meraviglia stupenda’. Questo è l’abito che ci regala Dio. Non un vestito da indossare, ma un abbraccio: ‘mi circondi alle spalle, mi stai di fronte’. Il vero abito è la cura di Dio, la sua misericordia, che ci permette poi di abbracciare gli altri”. Nel suo intervento non è mancato un riferimento al Salmo 8, per sottolineare che la bellezza dell’uomo si scopre solo contemplando Dio: “’Che cosa è mai l’uomo perché te ne ricordi?’… Il salmo ci dice che siamo poco meno di Dio, ma questo lo scopriamo solo guardando a Lui. Solo così possiamo essere bellezza per gli altri. La bellezza più grande è diventare bellezza nella vita degli altri”. Infine, una pagina evangelica, dal capitolo 6 di Matteo, per ricordare che non serve preoccuparsi del vestito: “Gesù ci dice: ‘Osservate i gigli del campo’. Se Dio si prende cura di loro, quanto più si prenderà cura di noi. Il vestito più bello è quello che Dio ha pensato per ciascuno, anche nelle imperfezioni, anche nella disabilità. La nostra vita è una meraviglia che abita nel cuore di Dio”. Il vescovo ha concluso con tre volti, tre “abiti di vita” incontrati sul suo cammino. Achille, un ragazzo paraplegico del gruppo scout Pavia 2: “Camminava con difficoltà, ma nessuna meta è mai mancata. Il nostro passo è diventato il passo di Achille. Abbiamo scoperto l’abito dell’amicizia, della solidarietà”. Massimo Toschi, figura nota in Toscana, impegnata nei diritti delle persone con disabilità: “Una voce profetica, scomoda, ma vera. Mi ha insegnato che la bellezza dell’abito è dire la verità con amore”. Enrico, un giovane sordomuto che ha partecipato al cammino sinodale della Chiesa italiana: “Ha parlato al cuore dell’assemblea, con parole di speranza. Camminava verso il matrimonio. Chi ama, dona la bellezza più vera”. “Ecco, questi sono i vestiti belli – ha detto in chiusura Migliavacca –. Li ho voluti portare a voi come su una passerella di moda. Perché l’abito più bello è la vita di chi ama, accoglie e rende felice l’altro”.

